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Che cosa si può fare per la sanità delle aree montane della Calabria?

Giancarlo Cauteruccio partecipa al dibattito del Corriere sul potere terapeutico del bosco, dell’arte e sui piccoli ospedali

Pubblicato il: 23/08/2024 – 10:35
di Emiliano Morrone
Che cosa si può fare per la sanità delle aree montane della Calabria?

COSENZA Che cosa si può fare per la sanità delle aree montane della Calabria? Si tratta di territori ancora scollegati dai principali luoghi di cura della regione: dagli ospedali più grandi, difficilmente raggiungibili in tempi utili. Le aree di montagna hanno lo svantaggio del clima, che, soprattutto nei mesi invernali, può rappresentare un grosso impedimento per il trasporto dei pazienti acuti in ambulanza oppure in elicottero. Ghiaccio, neve e nebbia sono fattori ancora poco considerati dagli analisti, che di solito si soffermano su parametri e aspetti economici, avvertono alcuni esperti ed eletti, cui altri replicano di non aver compreso i cambiamenti della medicina e della sanità, da oltre 30 anni organizzata e gestita secondo princìpi, modelli, logiche e dinamiche aziendali. La tecnologia, anzitutto la telemedicina, può sopperire da sola alle carenze strutturali e di personale degli ospedali montani, in Calabria ridotti, a partire dal 2010, a piccole strutture di Pronto soccorso, con reparti di Medicina spesso privi di medici e di ricoverati e con laboratori di analisi al servizio prevalente dei degenti? In medicina, si ripete, è il tempo che fa la differenza, nel senso che la rapida presa in carico del paziente può essere spesso determinante per la sua sopravvivenza.
Con il Piano nazionale di ripresa e resilienza, la risposta dell’Unione europea e dello Stato ai bisogni di sanità delle popolazioni di montagna si è concentrata sul potenziamento della medicina del territorio, al fine di prevenire l’insorgere di malattie, di garantire diagnosi precoci e la prosecuzione delle cure dopo interventi chirurgici e altri trattamenti ospedalieri.
Tuttavia, la realizzazione di nuove strutture di assistenza sanitaria territoriale non è semplice: nonostante i cospicui fondi stanziati, in Calabria sui 150 milioni di euro, essa presenta almeno due grandi problemi: il primo riguarda il complesso iter burocratico da seguire, che richiede una notevole efficienza amministrativa in tempi molto stringenti; il secondo è legato alla diffusa carenza di personale sanitario, intanto medico, frutto del mancato adeguamento dell’Italia alla Direttiva europea, del 2003, sui turni e i riposi obbligatori dei camici bianchi, degli infermieri e degli Oss. In altri termini, nel 2003, l’Unione europea chiese di fatto di assumere queste figure professionali per la copertura dei turni. Di conseguenza, l’Italia – soltanto per evitare pesanti sanzioni europee – varò nel 2014 la legge nazionale sulla disciplina degli orari di lavoro nel comparto sanitario e ne stabilì l’entrata in vigore nell’anno successivo, esattamente il 25 novembre 2015. Nello stesso 2015, secondo una stima parlamentare, servivano almeno sei miliardi di euro per assumere nel territorio italiano il personale necessario al rispetto della nuova normativa, purtroppo mai reclutato per intero a causa dell’indisponibilità delle risorse occorrenti. Inoltre, la Calabria è stata ed è sottoposta a limiti di spesa e su nuove assunzioni derivanti dal Piano di rientro dai disavanzi sanitari e dal correlato commissariamento del governo, caratterizzato dallo stretto e severo monitoraggio dei ministeri delle Finanze e della Salute. Sull’argomento, finora la politica locale si è purtroppo divisa e ha offerto il costante ricorso a rimproveri verbali reciproci propri della dialettica tra le parti, senza, tuttavia, avanzare proposte concrete sulla riorganizzazione e sul rilancio della sanità pubblica. Negli anni, in sostanza, gli ospedali montani calabresi sono andati avanti, senza troppi mezzi e possibilità, grazie al personale in servizio, ora vicino alla pensione. E non c’è stato un confronto di profondità sul futuro di queste strutture; un po’ per rassegnazione all’esistente, un po’ per interpretazioni penalizzanti di norme regolamentari, come ad esempio una, ricavabile dal decreto ministeriale 70/2015, che, già approfondita dal Corriere della Calabria (leggi qui), consentirebbe di attivare in questi presìdi un reparto di Chirurgia generale munito di posti letto, dunque di trattenere le somme corrispondenti agli interventi lì effettuati. Con l’aiuto di specialisti in vari ambiti – dal teatro all’economia, dall’innovazione alla medicina, dalla produzione alimentare allo sport, dal management alla comunicazione – proviamo a ragionare, a puntate, sulla nostra proposta di creare nelle aree montane calabresi dei poli di prevenzione e cura basati sull’effetto terapeutico del bosco, sul potere in senso lato antiossidante della foresta calabrese, dell’arte e della cultura. È un’impostazione utopistica? Noi crediamo che valga la pena offrire ai nostri lettori e ascoltatori, compresi i decisori pubblici, una serie di contributi qualificati su questa prospettiva, anche in considerazione dei benefici per la salute procurati dal «bagno nella foresta», secondo l’immunologo giapponese Quing Li (leggi qui la notizia), e dei paralleli riscontri di uno studio sull’efficacia della terapia forestale, pubblicato da Cnr Edizioni (leggi qui la notizia).

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L’obiettivo, insomma, è arricchire il dibattito pubblico con argomenti, punti di vista e orizzonti nuovi, contribuendo a farlo uscire da una ripetitività ciclica e dall’angusto spazio della recriminazione fra le parti politiche, che fin qui non ha cambiato lo stato e il destino dei servizi sanitari pubblici di cui sono provviste, per il momento, le aree montane.
Investimenti sull’impiego terapeutico di natura, cultura e specializzazione sanitaria possono aiutare le aree montane a superare la loro condizione di marginalità assistenziale? È una domanda inopportuna oppure può stimolare una riflessione che finora è mancata e di cui ci sarebbe effettivo bisogno? Con il regista Giancarlo Cauteruccio, nome importante dell’avanguardia teatrale italiana, iniziamo questo percorso di discussione aperta e critica. Cauteruccio premette che la via antica che i greci percorrevano per raggiungere l’Alto Tirreno cosentino dalla costa ionica settentrionale offrirebbe, se ripresa, un’immersione meditativa nella natura, proprio come i sentieri delle montagne calabresi. A suo avviso è bene ragionare sul ritorno alla natura che, per esempio, segnò l’adolescenza di uno scrittore di primo piano come Saverio Strati, di cui nell’anno in corso ricorre il centenario dalla nascita.

Parliamo di fuffa?

«Assolutamente no. Pensiamo all’invenzione della ruota, come nasce se non attraverso la presa-visione dei tronchi d’albero che facendo rotolare evitavano una fatica che per l’uomo sarebbe stata impossibile, cioè quella di trasportare i grandi tronchi a valle? Quindi siamo già nel bosco come ambientazione e da qui nasce proprio l’idea della meccanica, l’idea del movimento, e questo poi favorirà la ricerca di soluzioni che in qualche modo diventano, poi, protesi del corpo. Trasportare attraverso la ruota significa protesizzare il corpo, che prima, probabilmente, veniva impossibilitato a compiere azioni, a compiere azioni proprio di sopravvivenza. Io credo che, proprio attraverso un’immersione nel pensiero, e quindi un’immersione nei meccanismi della cultura, si possa arrivare a rigenerare quel rapporto fondamentale tra uomo e natura, tra corpo e ambiente».

E quindi?

«E allora quest’idea del bosco come luogo terapeutico potremmo davvero svilupparla con percorsi, con idee che portino ad amplificare la potenza della natura. La natura, così come vediamo da alcuni studi, da alcuni esperimenti, da alcune esperienze, in qualche modo pacifica. E, quando il corpo viene pacificato, probabilmente si ammala meno e acquisisce strumenti proprio di cura. Come potremmo affrontare tale questione, se non aprendoci alla natura attraverso gli strumenti che noi abbiamo acquisito? Tanti anni fa venni invitato al festival “Taormina Arte”, e lì, affascinato come ero dal giardino della villa comunale – che, come sappiamo, a Taormina è una vera opera d’arte –, all’interno di questo luogo, io realizzai un progetto che avevo intitolato “Alberi”. Partendo da Prévert, chiesi all’attore Roberto Carisi di misurarsi con l’idea degli alberi. Quindi, gli alberi divennero protagonisti di questa opera teatrale, che poi fu rappresentata anche nel Giardino dell’orticoltura di Firenze».

Dunque, hai già lavorato molto in questa direzione?

«Ho sempre avuto l’idea di poter utilizzare i posti come scenari di accoglienza, di azioni d’arte e di percezione da parte degli spettatori».

La Calabria è una regione che molto spesso viene ricordata per le spiagge, le coste, il mare. Spesso non si dice che è anche una regione con un interno pieno di boschi. Ritieni che il decisore pubblico possa essere suggestionato dall’idea di utilizzare il bosco come luogo terapeutico e di utilizzare l’interno della Calabria come luogo di cultura. Penso alle foreste della Sila, penso alle foreste delle Serre Vibonesi. Cioè, si può creare un polo attrattivo in cui convivano natura, cultura, benessere e salute?

«Assolutamente sì, ma questo credo sia inevitabile. Io anche qualche giorno fa ero nei boschi che ci circondano la certosa di Serra San Bruno. Ecco, lì capisci come quei luoghi siano già predisposti a un’accoglienza che in qualche modo diventa quasi camera di contemplazione, meditazione; cioè, il corpo ti offre la possibilità di uscire dal rumore contemporaneo ed entrare in un silenzio non solo magico ma proprio come luogo di decompressione, quindi di entrare immediatamente in un percorso terapeutico, perché l’energia del corpo e della mente è come se si rivitalizzassero. Allora questi luoghi, che sono luoghi straordinari – pensiamo, appunto, ai boschi della Sila, piuttosto che ai boschi di olivi che troviamo alle pendici dell’Aspromonte –, sono luoghi che hanno una potenza e diventano guida all’immersione in condizioni di alta qualità percettiva. Non solo “percettiva” dal punto di vista fisico, ma si tratta di una percezione che in qualche modo entra direttamente dentro di noi, e qui succede il miracolo».

Arte umana in sintonia con l’arte della natura, insomma?

«Allora, portare nei boschi la parola poetica, il movimento della danza, potrebbe diventare occasione per una regione che deve giocare la sua forza naturale e deve giocare, oggi più che mai, questa natura selvaggia che è riuscita a tutelare, nonostante, come dire, verso il mare tutto sia stato invece diverso: lì tutto è stato puntato all’urbanizzazione, che spesso, quasi sempre, distrugge la bellezza del paesaggio. Sarebbe molto interessante, molto bello; forse progetti di questo tipo potrebbero favorire un grande richiamo e un richiamo inedito. Forse in questa direzione potremmo dire che la regione Calabria è naturalmente vocata a questo tipo di possibilità e l’arte potrebbe dare un grosso contributo in questo senso».

Il bosco, l’arte, la cultura per produrre salute: salute dello spirito e salute del corpo.

«Il bosco è il luogo per eccellenza per uscire dal caos ed entrare in un’altra dimensione, perché non tutti, ma chi frequenta i boschi – i cacciatori, i cercatori di funghi, gli escursionisti – sanno che il bosco ha un suo linguaggio, una sua forma, una sua azione. Ma bisognerebbe che i cittadini in generale riconoscessero questo aspetto. Allora, il fatto di organizzare delle azioni in questi luoghi potrebbe attrarre non solo l’interesse dei cittadini ma l’interesse di chi viene a visitare questa terra, che, come dire, disvela sempre nuove sorprese».

Ciononostante, prevale molte volte il rumore inconcludente.

«Allora mi appellerei a chi produce rumore contemporaneo a cercare di spostare un po’ il tiro nel futuro. Bisognerebbe ritornare alle tradizioni. E credo che una delle tradizioni migliori sia quella di ritornare alle nostre origini. Da bambino e da ragazzo io vivevo un forte rapporto con gli alberi, con questi boschi di castagni. E oggi sento che tutta quella formazione della mia adolescenza mi ha portato a capire molte cose, che probabilmente non avrei mai capito. Ed è importante, per esempio, per i ragazzi e per i giovani poter vivere l’esperienza percettiva del bosco ma anche proprio imparare a curarsi attraverso la natura più viva, la natura che ancora respira e fa respirare».(redazione@corrierecal.it)

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