COSENZA «La ‘ndrangheta non esisterebbe senza il femminile». È “Mammasantissima” il termine utilizzato per definire il capobastone, il reggente, il capo supremo. Ed è presso il santuario della “mamma di San Luca”, “la mamma dell’Aspromonte”, la Madonna di Polsi, «il posto dove sarebbero state trovate le dodici tavole che dettano i comportamenti degli ‘ndranghetisti». Pensieri e parole di Anna Sergi, autrice del libro “L’inferno ammobiliato” e docente e studiosa dell’Università di Essex. Insieme al giornalista e scrittore, Stefano Nazzi, hanno realizzato un interessantissimo podcast “Le onorate. Donne dentro e contro la ’ndrangheta”, del Post, prodotto in collaborazione con Disney+ in occasione dell’uscita della fortunatissima serie originale The Good Mothers.
«Le donne nella criminalità organizzata calabrese vivono il riflesso di una società patriarcale, un elemento culturale – ancora oggi – duro da scalfire, però in evoluzione» sottolinea Giovanna Truda, professoressa associata di sociologia generale, specializzata in sociologia del diritto all’università degli studi di Salerno. Tuttavia se a “pentirsi” è una donna, se a tradire la famiglia è la fimmina, ecco che la rarità diventa l’eccezione. «Fa notizia e attira l’attenzione perché rompe degli schemi ordinari. Si trasforma in spettacolo», aggiunge Truda. Tra il 2021 e il 2023 due film e una serie televisiva hanno scoperto il potenziale delle voci delle pentite calabresi: “A Chiara” di Jonas Carpignano, “Una femmina” di Francesco Costabile e “The Good Mothers” di Elisa Amoruso e Julian Jarrold. «Tre sguardi diversi sull’esistenza e sulla resistenza silenziosa, duplice e ambigua delle donne di ‘ndrangheta, contro una narrazione (generale e generalista) ancora incompleta, appiattita sugli stereotipi».
Un rapporto controverso quello delle donne dentro e contro la ‘ndrangheta. Vittime di soprusi, abusi, violenze e privazioni ma anche protagoniste alla guida del clan quando il patriarca viene messo fuori gioco dalla magistratura. «Come nella società anche nella criminalità, il ruolo della donna è cambiato. Non sono più semplicemente quelle che stanno a casa ad aspettare i mariti criminali, ma assorgono ad un ruolo importante nell’organizzazione», dice Stefano Nazzi intervistato dalla redazione del Corriere della Calabria nel corso della preparazione di una puntata di “Calabria dell’altro Mondo”.
«Ci sono stati esempi di ribellione, di coraggio – dice Nazzi – da parte delle donne e meno da parte degli uomini». Questi ultimi – integrati nel sistema criminale – magari decidono di pentirsi ma spesso è una decisione maturata per ottenere benefici di legge. Invece nelle donne ci sono stati casi di aperta ribellione, spesso pagata a caro prezzo».
«La criminalità organizzata e la ‘ndrangheta conservano un aspetto militare, alcune tradizioni come ad esempio i giuramenti, però hanno sviluppato anche un aspetto imprenditoriale formidabile», sottolinea Nazzi. Che chiosa: «In questo caso le donne hanno un ruolo fondamentale perché studiano, agiscono a favore della cosca, portano una certa pragmaticità e una capacità decisionale che gli uomini in quel campo spesso non hanno». (f.benincasa@corrierecal.it)
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