LAMEZIA TERME «Ha un autosalone su Mesiano di Filandari e sta alle dipendenze di Peppone Accorinti». Non usa giri di parole Angiolino Servello, classe ’64 di Ionadi, il collaboratore di giustizia sentito in aula durante l’udienza del processo “Maestrale-Carthago”, di scena all’aula bunker di Lamezia Terme. Il pentito, in particolare, si riferisce a Domenico Cichello, tra gli imputati nel processo.
«Diciamo che è un referente di Accorinti, giravano, vendevano delle macchine, facevano dell’illecito lì, perché io ho comprato qualche macchina lì da Cichello, ho pagato come ho voluto, con assegni post datati, col tempo mio, ma sempre tramite Peppone, perché era Peppone che dirigeva lì parte dell’autosalone. Cichello gli faceva diciamo da, faceva quello che diceva Accorinti, ecco».
Su input della pm della Dda di Catanzaro, Annamaria Frustaci, il pentito ha spiegato: «Se io compravo una macchina, per dire, cioè io giravo magari assegni, prendevamo anche degli assegni con la droga, poi magari li giravo ad Accorinti. E lui che faceva? Per non darli alla persona interessata diretta della droga, li girava a Cichello e lui li utilizzava per comprare delle macchine, cercavano di ripulire dei soldi, l’illecito per fare lecito», puntualizza Servello rispondendo alle domande della pm Frustaci. «Chi pagava Cichello io non lo so, però la situazione, poi il business era questo qua. Anche io ho dato degli assegni, per dire, una volta del mio conto personale, li ho dati ad Accorinti e Accorinti li ha girati alla famiglia di Reggio Calabria che estorcevano all’epoca, Fuduli, quello della cocaina che facevano import – export dall’estero», ha spiegato ancora Servello. Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato Alla domanda se “c’erano anche delle attività di riciclaggio” della pm, il pentito ha spiegato: «Sì. Quando prendevo qualche assegno, che in giro prendevo anche soldi, assegni, quello che davano, perché sapevo che magari si andava incontro poi a dei debiti che le persone poi non avrebbero saldato, prendevo tutto: macchine, assegni, e questi assegni non è che io li giravo, li davo per come erano, li giravo ad Accorinti, lui prendeva tutto. Cristello, ad esempio, non voleva degli assegni, voleva i contanti, allora lui per farli pulire li girava tramite l’autosalone di Domenico Cichello, e quando avevano i contanti, li davano alle persone. Tutto qua».
La pm Frustaci chiede poi a Servello quali altri soggetti erano legati a Giuseppe Accorinti. «La famiglia Mancuso – risponde il pentito – abbiamo fatto anche dei traffici con la famiglia Mancuso, ci recavamo da Giuseppe Mancuso detto Bandera dove prendevamo della cocaina, me l’ha fatta dare Accorinti, io la dovevo portare a Roma, poi non era tanto buona ma l’abbiamo venduta lo stesso». «Viceversa, io gli cedevo dell’eroina che avevo acquistato da degli albanesi e gliela giravo a qualcuno per conto di Bandera. Ma con Giuseppe Accorinti mi sono recato da parecchie parti, dappertutto, poi adesso non ricordo bene, ma andavamo dappertutto». Il collaboratore spiega ancora: «Gli Accorinti avevano delle amicizie in quanto si spartivano all’epoca qualche lavoro, qualche mazzetta che prendevano dei soldi con le ditte che facevano dei lavori che si dividevano» racconta ancora Servello. «So che c’erano attriti con la famiglia Mancuso, non volevano che si occupasse dei villaggi, dei lavori nella zona di Pizzo, e così si erano raggruppati queste famiglie: Damiano Vallelunga, Peppone Accorinti, Rocco Anello, Pasquale Bonavota, erano tutti una famiglia che tra di loro andavano d’accordo e cercavano di mandare via la famiglia Mancuso». (g.curcio@corrierecal.it)
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