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‘Ndrangheta, il rampollo degli Agresta conteso tra Volpiano e Buccinasco: dall’affiliazione al pentimento

Il destino era segnato per il classe ’88 erede di una lunga dinastia di potenti esponenti delle ‘ndrine di Platì. «Non erano i miei valori quelli»

Pubblicato il: 26/08/2024 – 6:43
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, il rampollo degli Agresta conteso tra Volpiano e Buccinasco: dall’affiliazione al pentimento

TORINO La detenzione in carcere, poi la scelta di saltare il fosso e collaborare con la giustizia, ad ottobre del 2016. «I valori della ‘ndrangheta non sono valori profondi e positivi. Ho anche capito che i valori e la vita in cui ero inserito erano tutti sbagliati». Così Domenico Agresta (cl. ’88) noto come “Micu Mcdonald”, aveva motivato la sua decisione, frutto di una consapevolezza maturata gradualmente. Così raccontano le cronache di ‘ndrangheta che riguardano il Piemonte, territorio segnato dalla presenza di potenti ‘ndrine legate ancora alla Calabria, e colpito da numerose inchieste antimafia, da “Cerbero” a “Minotauro” passando per “Barbarossa” e “Carminius”. Dalle sue dichiarazioni, peraltro, su messo a segno l’operazione “Platinum” con cui la Dda e la Dia di Torino avevano messo a segno una trentina di arresti.

Il giovane Agresta e il pentimento

Nato a Locri il 22 settembre 1988, Domenico Agresta è il figlio di Saverio Anna Marando, entrambi genitori legati alla ‘ndrangheta operativa a Platì, tra le più influenti della Locride e del Nord Italia. Dal lato paterno, il nonno del collaboratore, Domenico Agresta (cl. ’34) è stato uno dei fondatori della ‘ndrangheta, nonché responsabile di tutto il Piemonte sino alla sua morte. Dal lato materno, lo zio del collaboratore è Pasquale Marando detto “Pasqualino”, «una delle figure più carismatiche della famiglia», scrivono gli inquirenti, al punto di assumer il ruolo di «guida della ‘ndrangheta in Piemonte» alla morte di Domenico Agresta (cl. ’34), sottolineano ancora gli inquirenti.  
Il collaboratore di giustizia spiegherà ai magistrati: «Mentre facevo questo percorso, continuavo in carcere a ricevere “doti” di ‘ndrangheta. Questa condizione ha iniziato a pesarmi, la vivevo come una maschera, non potevo più continuare a stare in questa situazione. Non sono una persona omertosa o in grado di rispettare le regole della ‘ndrangheta, non sono fatto così». E ancora: «Mio zio mi stava addosso e mi opprimeva, si lamentava perché, secondo lui, stavo prendendo troppo sul serio la scuola e andava troppo dall’educatrice».

Il rampollo dal destino segnato

Come ricostruito, infatti, Domenico Agresta (cl. ’88) trascorre la sua infanzia tra Volpiano e Buccinasco e, quando il padre Saverio viene arrestato, la famiglia si trasferisce stabilmente a Volpiano, dove il collaboratore frequenta le scuole elementari ed il primo anno di scuola media, al termine del quale viene bocciato. Lo zio Pasqualino Marando decide, così, di iscrivere il nipote al collegio “S. Francesco” a Lodi, mettendo a disposizione della famiglia una casa tra Corsico e Cesano Boscone, dove poi il collaboratore si trasferisce insieme alla madre ed alle due sorelle. Il percorso sarà poi segnato dall’omicidio dello zio Marando e poi, negli anni della sua gioventù e terminata la scuola, l’attuale collaboratore di giustizia inizia a svolge la sua attività “lavorativa” nel solco della tradizione familiare ovvero nel traffico di sostanze stupefacenti ed installazione di videopoker. Agresta, dunque, ha vissuto fino ai trent’anni «completamente immerso nei valori e nelle regole della ‘ndrangheta, soprattutto per ragioni legate alla sua estrazione familiare» annotano gli inquirenti.

L’affiliazione

«C’era ana cosa di cui nella mia famiglia si parlava da un po’. Mi fece capire che si trattava della mia affiliazione, dicendomi che, se non fossi stato affiliato, non sarei stato nessuno, non sarei stato un vero uomo». Così ancora Domenico Agresta racconta di un colloquio avvenuto presso il carcere di Vercelli, notando il padre Saverio si avvicinava al cugino Domenico (cl. ’86), per parlargli per pochi minuti all’orecchio. «Nel mio caso non era necessario vedere quale fosse il mio comportamento» racconta il pentito «perché mio padre è stimato da tutti nella ‘ndrangheta, ma comunque la procedura prevede che sia il “Mastro di Giornata” a “portare avanti” l’ingresso nella ‘ndrangheta e a chiedere l’autorizzazione al “Capo Società” ed al “Capo Locale”». Ad aprile 2007 (o 2008) Domenico Agresta (cl. ’86) avrebbe riferito al cugino di tenersi pronto per il giorno successivo. Prima avrebbe dovuto staccare la scheda del telefono, lasciarla a casa, e recarsi intorno alle ore 10 presso l‘orto di Giuseppe Romeo. Poi il racconto del pentito degli Agresta prosegue: «Ad un certo punto entrarono tutti dentro in una casetta in cemento che c’è nell’orto, dentro c’era un tavolo. Sia mio zio sia Giuseppe Romeo mi dissero che appena entrato mio cugino Domenico Agresta (cl. ’86) quale “capo giovani” mi avrebbe chiesto in dialetto calabrese: “giovanotto cosa cerchi” e io dovevo dire “sangue e onore”». E ancora: «Lui “perché sangue e onore non ne hai?”, al che dovevo rispondere “sì, ma voglio quello della società”. Mio cugino mi doveva dire “da questo momento in poi questo giovanotto non viene più riconosciuto come giovane d’onore ma come picciotto appartenente a questo corpo di società”». «Poi mi ha detto di dare la mano a tutti, io volevo dare anche un bacio ma lui mi disse che un picciotto non poteva salutare dando dei baci» ha spiegato ancora il pentito Agresta.

Conteso tra Volpiano e Buccinasco

«Poi i presenti mi hanno fatto gli auguri, subito dopo mi hanno fatto il quadro delle cariche del locale di Volpiano, spiegandomi che siamo tutti fratelli, mi hanno spiegato le regole dicendomi che non posso parlare con chi non appartiene alla società di cose della ’ndrangheta e che da quel momento in poi ero “attivo”, da quel momento in poi ero “attivato”, anche se in precedenza avevo già commesso dei reati». In seguito, il collaboratore avrebbe appreso addirittura di essere stato “conteso” tra il locale di Volpiano e quello di Buccinasco. Infatti, Pasquale Barbaro, in quanto responsabile di tutta la ‘ndrangheta per la Lombardia e cugino, alla lontana, del padre, voleva affiliarlo a Buccinasco. Invece, tutti i parenti dal lato degli Agresta «volevano che fosse affiliato a Volpiano», racconta. Alla fine, secondo il collaboratore «ha deciso mio padre per Volpiano». (g.curcio@corrierecal.it)

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