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Sicurezza nelle carceri, l’allarme e le soluzioni: taser, caschi e misure rigide. «Tutto sbagliato negli ultimi 15 anni»

Dopo gli episodi di Arghillà e Catanzaro, il sindacato in conferenza stampa ha riacceso i riflettori sull’emergenza. «Servono nuove regole, non possiamo fare la guerra ogni giorno»

Pubblicato il: 27/08/2024 – 13:31
di Giorgio Curcio
Sicurezza nelle carceri, l’allarme e le soluzioni: taser, caschi e misure rigide. «Tutto sbagliato negli ultimi 15 anni»

CATANZARO Ripristinare ordine, sicurezza e legalità nelle carceri ma anche creare opportunità per chi, all’interno dei penitenziari, rispetta le regole. Non usa giri di parole Giovambattista Durante, segretario generale aggiunto del Sappe ovvero il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, nel corso di una conferenza stampa convocata, questa mattina, nel carcere “Ugo Caridi” di Catanzaro.
Un incontro fondamentale per fare il punto sui gravi disagi registrati negli ultimi mesi negli istituti penitenziari italiani e l’escalation di violenze avvenute anche recentemente sia a Catanzaro che a Reggio Calabria. Fatti molto gravi quelli avvenuti nel carcere di Arghillà, dove alcuni detenuti di origini georgiane, si erano rifiutati in cella nell’intenzione d’aggredire un ristretto allocato in altra sezione detentiva, ma soprattutto nel capoluogo, con la rivolta dei detenuti che ha portato al ferimento di 9 agenti, finiti in ospedale.

«Detenuti convinti di poter fare ciò che vogliono»

«Il governo sta facendo molto per il corpo di polizia penitenziaria» ha sottolineato Durante «ma rimane questo grave problema di violenza continua nelle carceri, di indisciplina, i detenuti sono ormai convinti di poter fare quello che vogliono. È opportuno che ci siano misure rigide, drastiche, per fare in modo che il personale torni a lavorare in maniera serena come avveniva dieci anni fa».
Il sindacato, dunque, chiede maggiore fermezza, una sorta di “pugno duro” contro le continua rivolte, ma è necessario innanzitutto individuare le cause. «Alla base ci sono alcune riforme fatte una decina di anni fa, a cominciare dalla vigilanza a distanza, dalle celle aperte in maniera indiscriminata. Oggi i detenuti sono liberi di circolare nelle sezioni detentive senza alcun controllo perché un solo poliziotto non riesce a gestire 70-80 detenuti liberi». A questo si è aggiunto la «chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari che ha riversato nelle carceri tutto il disagio psichiatrico. Le Rems sono poche, non riescono a contenere tutto il personale. C’è stata una sentenza della Corte Costituzionale che dice che quella legge va rivista perché il controllo di queste strutture deve essere del Ministero della Giustizia».

Caschi e taser

E poi c’è la necessità di proteggersi in modo adeguato, a cominciare dalla fornitura dei taser o altri strumenti idonei. «Molte volte facciamo fatica anche a farci autorizzare dalle direzioni per l’uso di scudi e caschi per difenderci quando ci sono queste sommosse, molte volte il personale deve intervenire a mani nude riportando sempre la peggio perché questi detenuti sono particolarmente aggressivi e violenti». «Dobbiamo occuparci di sicurezza all’interno delle carceri e di osservazione soprattutto, ma come dicevo prima il sistema della sicurezza negli ultimi 10-15 anni è stato completamente destrutturato e smantellato con il taglio degli organici, delle centrali operative, con una formazione della polizia penitenziaria non adeguata, cioè si chiedeva al poliziotto di fare l’educatore, c’è stato un ministro qualche anno fa che ha detto proprio questo, la polizia penitenziaria “deve essere trasformata in una polizia della rieducazione” ma questo è assurdo, non è possibile che un poliziotto faccia l’educatore, quindi c’è tutto un percorso che va rivisto».

Organizzazione da rivedere

Secondo Durante, dunque, va rivisto tutto il sistema organizzativo, a cominciare dalla scuola di formazione. «Nei corsi precedenti un agente di polizia non faceva neanche un’ora di attività di polizia giudiziaria. Noi, quando andiamo fuori, in giro, siamo in servizio 24 ore su 24, molte volte dobbiamo intervenire all’esterno e il ragazzo che esce dalla scuola non conosce neanche quali sono gli atti che deve fare per arrestare una persona. È stato tutto sbagliato negli ultimi 10-15 anni, ecco perché siamo arrivati a questa situazione e poi lasciatemelo dire: non è possibile che un poliziotto perché ha ecceduto probabilmente nella reazione, rimanga 4, 5, 6 mesi in carcere quando molte volte ci sono persone che commettono reati gravissimi fuori e non vengono messi in custodia cautelare. Insomma, questa è una cosa che veramente è inconcepibile».
Una situazione con ricadute anche nel reclutamento di nuove forze. Nell’ultimo concorso della Polizia Penitenziaria, i ragazzi che sono usciti a luglio dalle scuole di formazione, di 1.750 circa, ne abbiamo presi 1.400 e altri 60-70 sono andati via durante il corso o subito dopo l’immissione a ruolo perché è diventato un lavoro ormai impossibile». «Non possiamo fare la guerra tutti i giorni, loro ci aggrediscono e noi dobbiamo reagire. Evidentemente bisogna trovare un sistema di regole per cui il detenuto che sbaglia va messo in una struttura dove rimane in regime chiuso, fa le quattro ore d’aria previste dopodiché se ne sta chiuso nella sua cella fino a quando non comprende che deve rispettare il poliziotto nell’esecuzione della pena». Su un punto poi Durante è stato chiaro: se il poliziotto sbaglia dovrà subire anche lui le sanzioni adeguate, ma «non è possibile che ogni anno ci siano più di 1.800 aggressioni alla polizia penitenziaria». (g.curcio@corrierecal.it)

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