Le decine di puntate di trasmissioni del day time, girate da nord a sud della Calabria e trasmesse sulle reti generaliste e, su Rai Italia, per rafforzare la calabresità e valorizzare le unicità ancora sconosciute di una regione, capace come poche di irretire, sembrano aver prodotto risultati, in termini di presenze turistiche. Se quelli desiderati lo vedremo. Pagate a caro prezzo nonostante si tratti di un “servizio pubblico” reso alla collettività? Vero, ma questa è un’altra storia. Per quanto, i soldi spesi con fondi destinati alla comunicazione – nel caso dell’accordo siglato dalla Regione con Rai Com – puntano ad una massiccia strategia di comunicazione, misurabile dagli ascolti e dallo share e, solo il programma Linea Verde, registra performance da record.
Il cambio di paradigma. Ma c’è anche un primo effetto desiderato: si capovolge il punto di vista della narrazione nei confronti di una terra, ridotta dalle cronache ad un cliché e prigioniera della lunga storia di stereotipi e pregiudizi, che della Calabria hanno sempre fatto di tutta l’erba un fascio. Tutta colpa della ‘ndrangheta, che esiste, resiste e vampirizza, ma è come ridurre le banlieue parigine, abitate dagli “apache”, a tutta Parigi. Pensate all’Aspromonte (non a caso), al paradiso naturalistico, agli angoli incontaminati del sentiero dell’inglese, alla sua gente ospitale – se non fosse anche per le incursioni letterarie, ostinate e contrarie, di Gioacchino Criaco e Francesco Bevilacqua – sarebbe ancora feudo di ‘ndrangheta perché teatro di sangue, di sequestri di persona e rifugio per latitanti.
Quando il pregiudizio è duro a morire. Allora perché battezzare ancora un’operazione di contrasto al narcotraffico, condotta dalle fiamme gialle di Bologna, “Aspromonte Emiliano”? Il fatto – che a capo dell’organizzazione ci fosse Giuseppe Romeo, nipote di Sebastiano, capo storico della ‘ndrina di San Luca – può legittimare la scelta (in)consapevole di “accusare” di collusione tutto il popolo aspromontano? E’ difficile scrollarsi di dosso vecchi pregiudizi, ma le parole pesano come macigni e lasciano il segno. Non è più tollerabile.
La Calabria ha bisogno di una buona reputazione turistica ma non di masse di turisti. In questi giorni, le cronache estive si occupano di mettere in fila gli effetti negativi della presa d’assalto, incontrollata e incontrollabile nel bel Paese, di spiagge, isole, città e montagne. Un turismo diventato insostenibile – che ha spinto i residenti di una delle città più belle al mondo – a scendere in piazza per denunciare pericoli e scempi «Venezia non si vende, si difende». Ma le soluzioni per respingere la furia devastatrice di frotte di turisti, non sono a portata di mano perché l’overtourism è un fenomeno oramai fuori controllo, anche, in Italia per i voli low cost e per le piattaforme digitali, che ci hanno trasformato in agenti di viaggio.
L’importante non è mostrare, ogni anno, un segno più come icona del progresso. Attenti dunque a non guardare solo ai numeri e alle percentuali. Siamo ancora in tempo per fare della Calabria, una destinazione di élite nel panorama mondiale perché meta ideale e unica. In Calabria ci sono luoghi incontaminati dal turismo, perché lontani dagli aeroporti e difficilmente accessibili. E’ proprio in questi luoghi che si nascondono le vere ricchezze culturali, artistiche e gastronomiche, un tesoro che può essere valorizzato attraverso esperienze per turisti esigenti e disposti ad investire in un’ospitalità di prima classe. (p.militano@corrierecal.it)
*direttore del Corriere della Calabria
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