COSENZA Si nascondeva a Nocera Terinese, nel Catanzarese, Francesco Costantino De Luca, calabroamericano di 53 anni, coinvolto nell’indagine nome in codice “Recovery” coordinata dalla Dda di Catanzaro contro alcuni presunti gruppi criminali egemoni a Cosenza e nell’hinterland bruzio. Il blitz è scattato ieri mattina, quando sono entrati in azione gli uomini della squadra mobile di Cosenza guidati da Gabriele Presti. De Luca, nato a Chicago, era riuscito a sfuggire alla cattura diventando un latitante.
Gli investigatori gli davano la caccia dal 14 maggio 2024, quando vennero eseguiti una raffica di arresti e perquisizioni: un blitz interforze di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza coordinato dalla Distrettuale antimafia di Catanzaro. De Luca, da quanto emerso, è considerato un pusher al soldo di uno dei gruppi criminali del cosentino, quello facente capo alla famiglia Di Puppo egemone a Rende. Per l’accusa è «partecipe dell’associazione, fornisce un contributo indispensabile all’attuazione del programma criminoso di narcotraffico, occupandosi prevalentemente dell’approvvigionamento e della commercializzazione dello stupefacente in esecuzione delle direttive di Michele di Puppo». Il nome dell’ex latitante viene pronunciato anche da alcuni pentiti. Il collaboratore di giustizia Giuseppe Zaffonte rende precise dichiarazioni sull’esistenza e sulle articolazioni che compongono il “Sistema”, un luogo senza confini dove opera la mala cosentina e all’interno del quale è consentito acquistare della droga. Per Zaffonte, De Luca non solo «spaccia» ma sarebbe anche stato «battezzato». Anche Celestino Abbruzzese, alias “Micetto”, uno dei vertici del clan dei “Banana” cristallizza il suo ruolo e circoscrive l’impegno di De Luca nello spaccio. «Ricordo che in quel periodo io portavo erba e cocaina a Crotone, in una occasione che ero rimasto senza marijuana mi rivolsi a Marco D’Alessandro e a Francesco Costantino De Luca e mi avevano detto che c’era stata una grossa perdita perché era stato fatto un sequestro e non avevano disponibilità di marijuana; si trattava del sequestro di 270 kg; in quella circostanza mi dissero che la sostanza stupefacente era riconducibile sia al gruppo nostro che a quello di Cosenza».
Da collaboratore a collaboratore, le dichiarazioni non variano. Anche uno dei più recenti pentiti, Francesco Greco detto “Checco” riferisce del legame dell’ex latitante con il gruppo Di Puppo e aggiunge: «collaborava con Roberto Porcaro sia in attività di usura che di narcotraffico. In una occasione, allorquando gli ho consegnato della cocaina, mi ha chiesto se Porcaro gli concedesse uno sconto sul prezzo di acquisto in modo da consentirgli di raccogliere più soldi da destinare ai detenuti del gruppo Di Puppo. Porcaro non lo consentì, dicendo che c’era già chi si occupava dei detenuti». Anche Daniele Lamanna rende edotti i magistrati sul ruolo di De Luca. «Spacciava lo stupefacente per la confederazione quantomeno dal momento della sua formazione, dall’anno 2010, sino ad almeno il 2015. Io con lui ho parlato più volte dell’attività di spaccio che poneva in essere e lui si lamentava del fatto che il suo referente, Umberto Di Puppo, gli lasciava poco spazio mentre avrebbe voluto guadagnare di più…».
Quanto asserito dall’ultimo pentito citato sarebbe stato riscontrato anche fagli investigatori grazie alle attività di indagine svolte sulla figura di De Luca. Che insieme a Marco D’Alessandro «avevano già dimostrato una sorta di insofferenza verso Michele Di Puppo, del quale non avevano gradito il comportamento in quanto, in qualità di capo del gruppo, lo ritenevano responsabile di “mangiare” più del dovuto». In buona sostanza, per i due – secondo l’accusa – Di Puppo avrebbe trattenuto per sé buona parte dei proventi illeciti senza riconoscere ai sodali la giusta ricompensa». Da quanto ricostruito nel corso dell’indagine “Recovery“, questo astio avrebbe poi portato D’Alessandro e De Luca «a cercare l’appoggio di un altro elemento di primo piano della criminalità rendese, ovvero Adolfo D’Ambrosio che, dopo la sua scarcerazione avvenuta nel luglio del 2019, aveva mostrato l’intento di voler prendere in mano il controllo della zona di Rende». Tutti episodi, circostanze, dichiarazioni e ricostruzioni che ovviamente dovranno essere riscontrate. (f.b.)
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