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la madonna della montagna

La Madonna di Polsi è dei suoi pellegrini

Da stasira l’Asprumunti è illuminatu, da migliaia i genti esti transitatu, su diretti tutti ‘nda stu locu sacru, per pregari la Madonna e lu bambinu

Pubblicato il: 02/09/2024 – 7:03
di Anna Sergi
La Madonna di Polsi è dei suoi pellegrini

REGGIO CALABRIA Ogni anno il 2 settembre al Santuario della Madonna di Polsi, in Aspromonte, si raduna una folla di fedeli e pellegrini. Quest’anno, tra le comunicazioni del rettore, Don Tonino Saraco, ce ne sono anche relative alla viabilità. Raggiungere Polsi è molto complicato; delle tre strade un tempo percorribili sulla montagna ne rimane solo una, in pessimo stato; gli ingorghi sono fin troppo frequenti, tra strettoie, tratti semi-franati, voragini nella strada. Quest’anno i pellegrini devono lasciare le macchine a tre km dal santuario, se riescono a percorrere l’ultimo tratto a piedi, oppure ancora più lontano utilizzando delle navette che – già c’è chi lo dice – non sono sufficientemente organizzate. Polsi sopravvive grazie alla sua fede, nonostante una cattiva reputazione che la vuole legata alla ‘ndrangheta, nonostante tutto. Ai pellegrini e ai fedeli bisognerebbe prestare molta più attenzione, bisognerebbe ascoltarli, cosa che purtroppo per una serie di circostanze non succede.
Ne ho avuto sentore unendomi al pellegrinaggio a piedi con la carovana che parte da Santa Cristina d’Aspromonte a metà agosto; una carovana che resiste alla storia e alle intemperie del tempo e degli uomini. Portare oltre un centinaio di persone in pellegrinaggio per 8-10-12 ore su per l’Aspromonte non è affare da poco. Polsi si trova a 820 metri s.l.m., ma per arrivarci, da Santa Cristina (che sta a quasi 600 metri s.l.m.) bisogna salire, a piedi, ai 1400 metri del passo della Cerasara per poi ridiscendere sul costone della montagna.

Benvenuti a li carovani, benvenuti a li pellegrini, benvenuti a li procuraturi, benvenuti tutti a li to pedi.

Polsi è il cuore dell’Aspromonte e come ogni cuore è pieno di ferite. La sua ferita più visibile, mai cicatrizzata e spesso lasciata a marcire, riguarda la ‘ndrangheta, e tutta la narrativa che la circonda. Con la ‘ndrangheta, Polsi ci deve convivere. Il Santuario si trova nel comune di San Luca, paese che più di ogni altro in Calabria ha avuto un passato di ‘ndrangheta feroce – in quanto una delle sedi dei sequestri di persona e matrice di una faida lunga e sanguinaria – e ha un presente di ‘ndrangheta globale – le ‘ndrine di San Luca sono oggi protagoniste del narcotraffico a livello mondiale. Nonostante questo, San Luca per tradizione apre il periodo della novena della Madonna di Polsi (dal 24 agosto al 2 settembre). Ovviamente molti nel paese venerano Maria della Montagna e lavorano al Santuario. Il prestigio delle ‘ndrine locali deriva anche dalla presenza “sacra” di Polsi, la “mamma” di San Luca. Ma a Polsi sono andati negli anni ‘ndranghetisti da tutta la Calabria e oltre. Se sacro e profano possono coesistere, bisogna qui guardarli insieme. Proprio come il paese che lo ospita, il Santuario spesso non è riuscito ad arginare quella qualificata minoranza criminale che ne fagocita la quotidianità e ne condiziona l’esistenza. Una delle cose che si imparano tra la gente della Montagna, frequentando Polsi, è che il luogo vive nella sua fede nonostante l’eterna ambiguità che lo circonda, e che ci sono tante storie, non tutte di quei demoni che qualcuno pensa di vedere.

Picciottu definitu camurrista, la situazione esti troppu brutta, venì lo jornu chi facimu festa […] U malandrinu non teni paura, a gioventù chiu bella esti in galera.

Ad esempio, in carovana verso Polsi si apprende che molti non sono affatto sorpresi che qualcuno come Don Pino Strangio, ex rettore del Santuario e parroco di San Luca, sia stato condannato nel 2021 in primo grado a nove anni e quattro mesi di reclusione, all’interno del processo Gotha a Reggio Calabria. Ma per i pellegrini non contano tanto gli anni che dovrà scontare, qualora la pena fosse confermata fino all’ultimo grado di giudizio, e non conta nemmeno la motivazione della condanna per concorso esterno in associazione mafiosa – si dice, tra le altre cose, che abbia fatto da paciere tra le cosche di San Luca durante la faida, promuovendo una pax mafiosa a Polsi. Non molti lo giudicano “male” per questo; in fondo le faide sono spesso state considerate “affare privato” e un prete deve provare a portare la pace (a tutti i costi? e qual era lo scenario alternativo se avesse fallito?). Per molti qui conta di più il fatto che durante la reggenza di Don Pino Strangio a Polsi si sospettassero ammanchi di denaro (quanto oro è stato donato alla Madonna e chissà dove è finito…), si osservava “certa gente” che lo frequentava e si appostava per giornate intere al santuario. In molti sapevano che le cose non andavano per il verso giusto e disapprovavano. Ma le loro voci non venivano ascoltate.

Sempri a lodari la Vergini Bella, sempri a lodari la Madonna Bella, sempri lodata da li carovani, sempri lodata di li to fedeli.

Le voci dei pellegrini si perdono nel frastuono mediatico di troupe giornalistiche italiane e straniere che vanno a Polsi a “cercare” la ‘ndrangheta (quando va male), o a mostrare il luogo dove la ‘ndrangheta si riunisce annualmente (quando va bene, spesso ignorando le ragioni sociali e antropologiche del come e perché questo accade). Il frastuono mediatico fa da eco a una narrativa trita e ritrita sulla ‘ndrangheta. Si continua a definirla la più potente, la più onnipresente, la più ricca, la più moderna e innovativa mafia al mondo, e nello stesso tempo la più tradizionale e oppressiva (e Polsi rappresenta proprio questa tradizionalità). Così facendo si finisce per esaltare questa mafia attribuendo a quei mafiosi qualità che invece non hanno.

Questa narrativa investe gran parte di Calabria, Polsi soprattutto, talmente radicata da condizionare a priori giornalisti o produttori televisivi che a Polsi vanno per due ore, tanto per scattare una foto o girare qualche scena. Uno di loro, su LinkedIn, in risposta a un mio post-foto di Polsi è stato capace di scrivere: “Polsi ed il suo santuario sono uno dei luoghi più oscuri che abbia mai visitato nella mia vita. Rispetto la fede dei pellegrini, ma quell’incavo fra le montagne ha un’energia negativa che raramente ho trovato altrove”. E la pervicacia e l’ignoranza, di aggiungere: “Il santuario era assolutamente vuoto quando l’abbiamo visitato e l’energia che emanava era propria del luogo (…) Per quanto mi riguarda, ed è parere personalissimo, mi terrò ben lontano da siffatto luogo che con la fede ed il culto, inteso come luce divina, ha poco a che fare, in questa o altre epoche remote. Se di culto si tratta, trattasi di materia oscura con la quale non ho intenzione di avere a che fare”.

A Chiesa è stracolma di persuni chi fannu a veglia tutta a nuttata. Cu è stancu e si jetta ndi mattuni e cu si senti si faci na ballata. Ntra chiji strati e chiji mulatteri si vidinu strudiri lampandini, su persuni chi veninu a pedi, da jonica, da chiana e riggitani.

Questo individuo non è il primo né sarà l’ultimo a impiegare un linguaggio sprezzante per parlare di Polsi, dell’Aspromonte, e in fondo, magari implicitamente, di una Calabria permeata dalla ‘ndrangheta. L’esperienza della Carovana e del pellegrinaggio, più di ogni altra, può però far comprendere a chiunque abbia occhi per vedere perché Polsi è ben altro di un “luogo oscuro” dove si stringono la mano boss fratricidi e narcotrafficanti. E questo nonostante uomini di ‘ndrangheta ovviamente ancora frequentino Polsi, sebbene in tanti, a partire dall’attuale parroco, Don Tonino Saraco, oggi condannino apertamente la loro presenza al Santuario, in netta rottura con il passato. Per chi lo frequenta Polsi è un luogo che ha poco se non nulla a che fare con questa “oscurità” perché – anche questo si impara parlando con la gente durante il pellegrinaggio – anche lo ‘ndranghetista a Polsi ci va spesso “coi suoi” ed anche lo ‘ndranghetista a Polsi è nella sua terra e ha il suo (complicato? discutibile? sacrilego?) rapporto con Maria della Montagna. La fede, per la gente discreta di questi luoghi, è in fondo una questione privata, quasi intima. Soprattutto se la forza di Polsi sta nella sua gente, che con sé sulla Montagna porta amori viscerali e una fede oggi forse anacronistica. È gente che per questo viene spesso considerata ultima nella terra degli ultimi. Così come non veniva ascoltata ai tempi di Don Strangio, quella gente non viene ascoltata – nel discorso pubblico e tanto meno nel dibattito politico – neppure oggi.

Vaiu a Muntagna ai pedi di Muntartu, chi ja c’esti nu locu benedittu (…) Ajja si trova na grandi regina, chi i tutti quanti esti a patruna, chi i so miraculi a tutti ndi sana, Madonna da Muntagna iddra si chiama.

La Carovana a Santa Cristina è stata autogestita dai pellegrini anche quest’anno. La Chiesa locale non ne gestisce l’organizzazione, neppure una benedizione al momento della partenza al mattino presto. Oltretutto, sembra che un altro prete, che gestisce uno spazio nel quale fino all’anno scorso ci si rifocillava in una tappa intermedia durante il pellegrinaggio, avrebbe chiesto addirittura cinque euro a testa per poter utilizzare i servizi. E allora la Carovana ha preferito sostare in altri spazi liberi nel cuore d’Aspromonte, che tanto è grande e, sebbene spesso inospitale, risulta più accogliente di certi uomini. Nella Carovana si condividono vivande, bevande, tè freddo, coca cola e birra, e c’è un gruppo di giovani muniti di tamburelli e organetti che a ogni fermata cominciano a suonare e cantare la tarantella per accogliere i pellegrini. Spesso prorompe l’urlo “Evviva Maria”, e poi gli applausi scroscianti. Eppure, i giovani non pregano e non camminano abbastanza, fanno troppa festa; questo almeno pensano i meno giovani, e in fondo è naturale così, l’importante in questo contesto è sentirsi comunità. All’arrivo a Polsi, dopo dieci ore di cammino sotto il sole cocente d’agosto, stanchi, sudati, eppure sorretti dalla fede, può capitare che i pellegrini debbano attendere ancora che vengano assegnate le stanze per la notte. È successo infatti che alcune stanze che si pensavano prenotate per la Carovana all’ultimo non siano disponibili; si mormora sia a causa di una visita al Santuario, non si sa in quel momento se improvvisa o programmata, dicono di prefetti o magistrati, ma di base ci sono comunque problemi di comunicazione. In ogni caso, a Polsi si deve dare conto anche alle autorità, regionali e nazionali. È difficile per il rettore gestire tutto: si troverà il tempo di accogliere la Carovana e di badare al prefetto? Potrà allora accadere che i pellegrini si sentano lasciati soli a gestire la loro Madonna, sentendosi ignorati dalla stessa istituzione, la Chiesa, che dovrebbe accoglierli e accudirli. Spesso le difficoltà di comunicazione efficace col Santuario aumentano questo senso di alienazione. Ma in fondo a loro nemmeno questo importa; hanno le lacrime agli occhi molti di quelli che anche quest’anno sono riusciti ad arrivare con il cuore in mano a implorare una grazia o a mostrare riconoscenza per grazia ricevuta “a li pedi di la Madonna”. Il Santuario è sempre aperto, anche di notte – c’è chi veglia; anche se il rettore non può presenziare al rosario notturno improvvisato dalla Carovana, i pellegrini se lo dicono da soli intonando la canzone più popolare da queste parti, a Bonasira.

Bonasira, eu vi dicu a vui Madonna, la gloriusa di Santa Maria. E la matina bongiornu bongiornu, siti patruna di tuttu lu mundu.

Quest’anno pellegrini e gli altri visitatori di Polsi hanno trovato i due piccoli bar al Santuario entrambi chiusi – c’è chi dice che è perché non avevano la licenza e mai l’avevano avuta (e se ne sono accorti ora? è il commento); c’è chi dice che era un problema di tasse comunali non pagate (e lo riconduce alla disastrosa situazione amministrativa di San Luca); c’è chi sostiene che non avevano i bagni e dunque non erano in regola. Resta il fatto che il bar davanti al Santuario, che faceva cornetti e caffè la mattina, serviva birra la sera e pasta col sugo di capra e salsicce a pranzo, è chiuso dall’ottobre 2023. Mentre si parla del perché e per come sia stato chiuso, quello che tutti temono è che non riapra più: come spesso succede da queste parti tutto si distrugge, e poco o nulla si crea o si trasforma.

Se non era per Maria, sta gran signura, tutti stavamu chiusi ‘nti nostri casi, ma rrivau sta Rigina into u paisi e illuminau a via e ‘i nostri casi. Anziani e giuvanei, tutti ca vinniru nta chiesa matri.

Si può discutere a lungo della manipolazione mafiosa del culto di Maria di Polsi. Si può approfondire come, anche nella fede e nella religione, esistano dei semi che portano intere comunità ad agognare un ordine sceso dall’alto o a neutralizzare comportamenti criminali con l’idea che la fede è cosa privata e non discrimina né esclude nessuno. Ma non è questo il punto. Il punto è che vivendo la religiosità di Polsi se ne tocca la forza tanto genuina quanto primitiva, e questo rende paradossale l’invisibilità e l’inaudibilità dei fedeli. Invisibilità e inaudibilità, se non manipolazione dei bisogni dei pellegrini; assenza di servizi a loro dedicati – non solo il bar, anche la viabilità (si aspettano ancora i risultati dei 65 milioni di euro per la realizzazione della strada nuova per Polsi, annunciati dal Presidente della Regione Calabria Roberto Occhiuto nel 2022, che, per Don Saraco sarebbe una vera fonte di progresso per il turismo religioso di Polsi). Nonostante tutto questo la Carovana trova l’energia di entrare in chiesa a suon di tarantella a completamento di ogni pellegrinaggio. E la mattina successiva di suonare di nuovo per Maria, ai piedi della Madonna e del suo mantello blu con le 12 stelle d’oro. Appena termina la messa, i pellegrini, da soli, si appropriano degli spazi; si inizia a suonare e cantare intorno all’altare, sotto la statua della Madonna, così come fuori nel cortile; tutti ballano, tutti cantano o pregano senza l’intercessione della Chiesa e dei suoi ministri, senza badare se c’è o meno la ‘ndrangheta, stigmatizzando chi disturba, ma forse non abbastanza chi si nasconde nella folla che tutto fagocita. I pellegrini a Polsi sono in comunicazione diretta, senza intermediazioni né compromessi, con la loro Madonna e con la loro Montagna.

Sta tarantella a usu malandrino, sonata i du fijjoli i cori bonu […] E u mastru u fazzu eu do primu giru, chi sacciu stari ‘nto beni e ‘nto mali, e cu staci ‘cca ndavi mu s’atteni a reguli sociali.

La domanda che mi pongo, dopo il pellegrinaggio con la Carovana, è sempre la stessa: com’è possibile che questi pellegrini, con la loro fede arcaica e dirompente, non siano forti abbastanza da riscrivere la storia recente di questa valle, da sovrastare il “rumore” della ‘ndrangheta? Sarà forse, almeno in parte, a causa del pregiudizio di inferiorità e arretratezza che ancora affligge questa terra di Calabria, ancor più la gente della sua Montagna? Sarà perché la fede qui si è rifiutata a volte – e questo può infastidire qualcuno – di negare la compassione cristiana anche ai mafiosi?

Regina mamma, regina vera, iutàti i fijji chi sugnu in galera. Regina ‘i Polsi, senza peccati, datici vui a libertati. Matri i forza, matri celesti, iutàti a tutti i personi onesti.

A chi con leggerezza parla di Polsi come luogo di culto della ‘ndrangheta, e ne riduce la sua valle a crogiolo di mafia, risponderei che la presunta oscurità di Polsi forse non è altro che la gola buia di una voce ammutolita. Perché da Polsi troppo raramente, almeno fino a tempi recenti, si sono alzate voci tanto forti quanto udibili contro i soprusi di ‘ndrangheta o si sono fatti piani concreti per il ravvivamento del Santuario. Le voci dei pellegrini non sono mai state abbastanza “rivoluzionarie” da riuscire a scuotere Stato e Chiesa, inducendole a investire nella fede e nel territorio, invece di limitarsi alla cancellazione di ciò che “non è a norma” o alla condanna. L’energia di Polsi è tutt’altro che negativa; è energia primordiale, come quella di Madre Natura che qui impera, o di Persefone, dea dell’oltretomba venerata un tempo nella Locride della Magna Grecia, o anche della Sibilla, che – dice la leggenda – avrebbe ceduto alla Madonna della Montagna il suo antro qui a Polsi. La fede e il culto di Polsi dipendono interamente dalla forza dei suoi pellegrini, che nonostante tutto sembri alienare e scoraggiare sia le loro Carovane che il loro credo, anno dopo anno si ricongiungono con la loro Madonna, tra novena, pellegrinaggio, e tarantella. Resistono nel sacrificio e cercano un contatto diretto con la loro Regina. Sarebbe forse tempo che questo sentire popolare, protagonista del territorio e sua risorsa, diventasse parte integrante di una storia che troppo spesso è stata raccontata da minoranze criminali, o da occhi forestieri ciechi alla forza di questa fede. Che la ‘ndrangheta ci sia a Polsi, come in tutta la Calabria, come altrove in Italia e nel mondo, non significa certo che ci sia solo la ‘ndrangheta. Chi condivide il territorio con la ‘ndrangheta, vittima di quel contesto, incapace di reagire, talvolta complice diretto o indiretto, queste persone sono protagoniste di innumerevoli altre storie che con la ‘ndrangheta non hanno nulla a che fare, e che pochi riescono a raccontare. Quella gente va ascoltata, va spinta a raccontarsi. A Polsi, la vera protagonista è Maria, e i suoi fedeli adoranti ne sono la costante prova.

E la Madonna si vota e ‘ndi dici, vajiti Bonasira e santa paci.

La precisazione

Riceviamo e pubblichiamo la precisazione della prefettura di Reggio Calabria. «Si fa riferimento all’articolo di stampa in oggetto indicato, pubblicato da codesta testata giornalistica, in cui tra l’altro è stata evidenziata l’indisponibilità di alcune camere per il pernottamento dei pellegrini presso il Santuario della Madonna di Polsi, a causa della asserita sopraggiunta presenza di “prefetti o magistrati’. Al riguardo, si rappresenta che nell’occasione nessun prefetto si è recato presso il Santuario della Madonna di Polsi».

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