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Fausto Gullo: l’Abraham Lincoln dei contadini meridionali, modello attuale di un nuovo meridionalismo

Il 3 settembre ricorre il cinquantesimo anniversario della morte del politico calabrese

Pubblicato il: 03/09/2024 – 7:00
di Gabriele Petrone
Fausto Gullo: l’Abraham Lincoln dei contadini meridionali, modello attuale di un nuovo meridionalismo

LAMEZIA TERME Il 3 settembre ricorre il cinquantesimo anniversario della morte di Fausto Gullo. Il suo nome oggi probabilmente dice poco ai ragazzi calabresi, pur trovandolo inciso sulle targhe della toponomastica e nella intitolazione di scuole o di altre istituzioni.
Sul piano storiografico sono numerosi e assai ben documentati i lavori di ricostruzione della figura e dell’azione politica del “Ministro dei contadini” a cui anche queste brevi note fanno certamente riferimento.
Ciò che purtroppo continua ad essere carente è una certa consapevolezza di massa o quantomeno più larga rispetto al campo degli “addetti ai lavori”, del ruolo e della funzione storica che Gullo ha svolto nella storia della Calabria, del Mezzogiorno e dell’intero Paese.
Quando nel 1944, nel pieno della seconda guerra mondiale, Fausto Gullo entrò a far parte del secondo governo Badoglio (il primo di unità nazionale antifascista) ed emanò i suoi famosi decreti che assegnavano le terre incolte o, mal coltivate a cooperative di contadini senza terra, si avviava un processo che avrebbe cambiato profondamente le strutture economiche e sociali che avevano caratterizzato per secoli la storia del Sud, ben prima dell’unificazione nazionale.
Centrale fu per Gullo la necessità, nel Sud e dal Sud, di porre in termini nuovi la questione contadina che significava la liquidazione del latifondo come struttura economica del blocco storico di agrari del Sud e capitalisti industriali del Nord al quale bisognava contrapporre, sulla base della lezione gramsciana, una nuova alleanza strategicamente rivoluzionaria, quella tra operai del nord e contadini meridionali.
I decreti andavano pertanto a legittimare un vasto movimento spontaneo di occupazione delle terre del latifondo cominciato sin dall’autunno del 1943, quando ancora il Sud era percorso dagli eserciti delle nazioni in guerra.
Le occupazioni di terre non erano una novità. Era stata la progressiva espropriazione delle terre comuni o demaniali su cui i contadini esercitavano alcuni diritti di origine addirittura feudale da parte dei grandi proprietari terrieri nel corso dei secoli, a radicare in essi un profondo senso di ingiustizia che li portava a ribellioni violente represse sempre duramente o forme di protesta individuale come il brigantaggio e l’emigrazione.
Gullo con i suoi decreti non solo legittimava le occupazioni, ma le portava sul piano della legalità costituzionale. Non è sbagliato dire che per la prima volta i contadini poveri del Sud, da sempre emarginati e abbrutiti dall’asservimento, dalla miseria e dall’ignoranza, “diventavano Stato”.
Facendo le dovute distinzioni storiche e di contesto, e utilizzando il paragone solo a scopo esemplificativo, Fausto Gullo fu per i contadini meridionali e calabresi come Abraham Lincoln per gli schiavi neri degli Stati Uniti d’America, e i suoi decreti del 1944 come il Proclama di emancipazione del 1862.
Nati come provvedimenti di emergenza in tempo di guerra avevano in comune anche il porsi obiettivi di lunga durata. Dopo di essi, con la forza della legge, nulla sarebbe stato più come prima.
Ma la lezione di Fausto Gullo può essere tratta oggi anche da un altro episodio assai significativo: la sua opposizione nell’Assemblea Costituente alla istituzione delle Regioni.
Il politico calabrese riteneva che queste sarebbero state una costruzione artificiale nella tradizione istituzionale italiana per come questa si era sviluppata nel corso della storia unitaria del Paese. Ad organismi artificiali dotati di competenze che inevitabilmente sarebbero andate a sovrapporsi a quelle dello Stato centrale, il nostro contrapponeva i Comuni e le Province, enti più prossimi ai cittadini e quindi non solo più sentiti ma più efficaci nella gestione delle risorse pubbliche e più capaci di applicare la legislazione nazionale. Il timore di Gullo, che si sarebbe dimostrato tutt’altro che infondato, era costituito dal rischio di una non applicazione delle riforme di sistema (pensava soprattutto alla riforma agraria e alla tutela e valorizzazione delle risorse del demanio forestale e non solo) che solo lo Stato poteva garantire.
Quanto delle preoccupazioni di Fausto Gullo hanno trovato riscontro nella crisi del regionalismo fin dalla sua effettiva realizzazione nel 1970 è sotto gli occhi di tutti, s cominciare dalla non effettiva applicazione della riforma sanitaria che, nella gestione regionale contraddice, di fatto, il principio costituzionale del diritto alla salute e dell’assistenza universalistica.
Senza contare che, a partire dagli anni ‘90, è andata affermandosi una linea che, esaltando alcune spinte egoistiche se non, in alcuni momenti, francamente separatiste, delle Regioni del Nord, ha teso a rendere questi enti sempre più autonomi e spesso in contrapposizione allo stesso potere statale, fino alla legge Calderoli sull’autonomia differenziata dell’attuale governo.
È del tutto evidente, pertanto, l’attualità di Fausto Gullo, il suo essere punto di riferimento culturale e politico di una riproposizione in chiave moderna di una impostazione di riformismo meridionalistico.
Una lezione che afferma la centralità della Politica (il maiuscolo non è casuale) nei processi di cambiamento.
Una lezione che soprattutto le forze democratiche e progressiste (di cui Gullo fu una delle personalità più avanzate del secolo scorso a livello nazionale in un momento di cambiamento epocale della nostra storia) dovrebbero riscoprire e valorizzare applicandola al nuovo contesto storico e sociale.
Le elezioni europee e la raccolta delle firme sul referendum per l’abrogazione dell’autonomia differenziata hanno dimostrato una forte e consapevole vitalità dell’opinione pubblica meridionale. Senza illudersi sul sorgere di nuovi Fausto Gullo e Abraham Lincoln resta aperta la domanda se dal Sud, o comunque dal Sud, potrà finalmente partire un progetto di ricostruzione organicamente democratico del Paese.

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