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Il fascino del fascismo a Lamezia

Le parole fascino e fascismo hanno la stessa radice e in questa condivisione si può forse individuare l’accettazione, da buona parte della cultura italiana, della qualità dell’architettura di spir…

Pubblicato il: 04/09/2024 – 18:37
di Giovanni Iuffrida
Il fascino del fascismo a Lamezia

Le parole fascino e fascismo hanno la stessa radice e in questa condivisione si può forse individuare l’accettazione, da buona parte della cultura italiana, della qualità dell’architettura di spirito razionalista del Ventennio. Niente di politico in questa affermazione, perché, a ben riflettere, c’è, nel rigore dei volumi e della nitidezza delle superfici architettoniche del razionalismo, una sorta di armoniosa sommatoria della metafisica di Giorgio De Chirico e del realismo dell’urbanistica delle “città nuove”, concepite a misura d’uomo.
La città di Lamezia purtroppo non gode di questa opportunità perché il Piano regolatore di Sant’Eufemia del ’39, denso di buoni propositi, non ha avuto la benché minima realizzazione (la dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 non consentiva distrazioni per velleità urbanistiche, peraltro tardive). Un’occasione persa, dunque, perché oggi avremmo avuto la possibilità di trovarci una Sabaudia di marca calabrese, a portata di vista.
Dell’eredità fascista a Lamezia rimangono le realizzazioni pre-razionaliste (i villaggi operai-agricoli di San Pietro Lametino, Sant’Eufemia Vetere, Sant’Eufemia Lamezia e Acconia): poca cosa rispetto alla potenza del linguaggio architettonico e urbanistico italiano degli anni Trenta.
A Lamezia del fascismo si avverte, in maniera marcata, l’alone pesante e determinante della violenza e dell’autocrazia. Ovvero la violenza dell’aggressione al territorio (inteso come spazio fisico e umano), soprattutto del fascino della ruralità che storicamente ha pervaso ogni angolo delle campagne ed era leggibile anche in un semplice fosso quanto nelle disseminate architetture rustiche prodotte dalle fatiche lente ed progressive di chi ha lavorato, in collaborazione con la natura, la terra: espressione densa di quella cultura popolare che andrebbe salvaguardata, rispettata. Oggi, invece, tutte le istituzioni di ogni ordine e grado (nessuna esclusa) hanno la grave responsabilità di preferire i costruttori di mostri piuttosto che i coltivatori della terra, che il fascismo “buono” invece tutelava e che oggi, unici custodi a fatica dei campi, sono perseguiti da guardie e ladri di territorio spesso fusi in un tutt’uno inscindibile.
Un territorio, quello di Lamezia, che oggi non pone limiti all’edificazione come suggerisce il nefasto Piano strutturale comunale, che ha ereditato le forme espressive della violenza fascista e della sua aggressività fisica: il piano puzza di olio di ricino nel grande campo sperimentale che è il territorio nella sua interezza. Come presagito, le conseguenti manganellate purgative dell’Imu stanno completando l’opera distruttiva dei traditi e tardivi sognatori di cemento e mattoni, tanto da esaurire in un solo colpo il “fascino” impuro dell’edificazione indiscriminata. Frutto, questo, anche di quell’autocrazia propria del regime individuabile nell’attuale, scellerata autonomia decisionale locale in materia urbanistica, che vede la Regione in tutta la sua assoluta inutilità e nefandezza.
Il fallimento, da tempo vanamente preannunciato, del Piano strutturale comunale – già in sala di rianimazione e da rattoppare con numerosi punti di sutura, comunque senza soluzione per la sua bruttezza – è e sarà una grave colpa che rimarrà incisa nella storia di questa città. Una responsabilità tra violenza, aggressione indiscriminata al territorio e autocrazia (oggi diremmo meglio, oligarchia). Come il peggiore fascismo senza fascino e senza nostalgie.

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