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l’intervista

«Ho vissuto sulla mia pelle la violenza patriarcale, ma ho la Calabria nel cuore»

Il film Familia del regista cosentino Francesco Costabile presentato al Festival di Venezia nella sezione Orizzonti

Pubblicato il: 05/09/2024 – 9:01
di Benedetta Caira
«Ho vissuto sulla mia pelle la violenza patriarcale, ma ho la Calabria nel cuore»

VENEZIA «Aspetta, mi siedo qui, davanti al mare. Proprio sulla spiaggia della scena finale di Morte a Venezia». Il regista cosentino Francesco Costabile è avvolto e inebriato dall’atmosfera magica della Mostra del Cinema. Cosentino, 43 anni, ha esordito nel 2022 con il film Una Femmina. A Venezia il suo Familia è stato presentato nella sezione “Orizzonti” e alla fine della proiezione il pubblico ha risposto con un lunghissimo applauso. Il film, in tutti i cinema dal 2 ottobre, è tratto dall’autobiografia Non sarà sempre così di Luigi Celeste, che nel 2008 ha ucciso il padre violento ed è stato condannato per omicidio.
Patriarcato, violenza domestica, gabbie mentali: Familia entra nelle stanze più buie delle conflittualità sociali, è un viaggio intenso e brutale nella realtà di alcune dinamiche domestiche.

Come ci si sente dopo dieci minuti di applausi al Festival del Cinema?

«Essere a Venezia è fonte di gioia, felicità, grandi emozioni, ma anche di tanta ansia. Il pubblico è esigente, spesso le critiche sono feroci. Quel lunghissimo applauso alla fine della proiezione, interrotto solo quando siamo stati invitati a salire sul palco, ha sciolto ogni preoccupazione, mi ha dato la risposta che aspettavo. Il mio desiderio è riuscire a scuotere le coscienze degli spettatori, il pubblico commosso mi ha dato la conferma che questo film riesce a farlo. Per me l’esperienza cinematografica è esperienza di vita. E adesso posso godermi la magia di questo luogo. Durante il Festival l’atmosfera è incredibile, il cinema è ovunque, tutti sono qui perché amano il cinema, si respira bellezza ad ogni angolo di strada. Una sospensione della realtà, una pausa dagli orrori di questo tempo di guerra, lì fuori».

Cultura patriarcale, violenza di genere, dinamiche familiari complesse. Quanto di ciò che racconti risente dell’idea di famiglia legata alla Calabria?

«Sono cresciuto in Calabria tra gli anni ‘80 e gli anni ’90. Ovviamente in quegli anni crescere in questa regione non è stato semplice, soprattutto per chi come me si discosta da un certo modello di mascolinità tossica. Io di padri autoritari in senso metaforico ne ho conosciuti tanti. La violenza patriarcale l’ho vissuta sulla mia pelle ovunque: a scuola, per le strade. Ma è un problema generalizzato, lo era e lo è. Non è un problema calabrese, è transculturale, appartiene a tutte le fasce sociali e a tutte le regioni. È una questione culturale che va affrontata. Non me la sento di dire che la mia esperienza in Calabria ha inciso su quello che racconto nel film, probabilmente se anche fossi vissuto in Veneto, avrei subito le stesse pressioni dalla cultura patriarcale. Questo film l’ho fatto nella speranza che le cose, attraverso una presa di coscienza collettiva, possano cambiare».

Che legame hai con la Calabria?

«Come tutti i calabresi che sono andati via, fortissimo. L’infanzia in campagna, ad Arcavacata, l’adolescenza a Cosenza dove ho frequentato il liceo Scorza. Luoghi del cuore, come Guardia Piemontese, dove torno sempre e dove sempre ritrovo aria di casa. A 19 anni ho convinto i miei genitori a farmi partire e loro hanno sostenuto il mio sogno di lavorare nel cinema: prima il Dams a Bologna, poi il Centro sperimentale di cinematografia a Roma dove ho studiato regia».

La Calabria e il cinema, da qualche anno un connubio di cui si parla molto. Cosa ne pensi?

«C’è stato indubbiamente un grande cambiamento, la regione è uscita dall’isolamento, si è fatta conoscere, è diventata un set ambito. Ritengo però che non bisogna investire solo su prodotti generalisti e di largo consumo, su grandi produzioni in cui poi non lavora nessun calabrese. Bisognerebbe coltivare le maestranze e le professionalità della regione. Sostenere chi, magari all’inizio della sua carriera, non ha nessuno che scommetta su di lui. Sarebbe utile programmare investimenti culturali su prodotti di qualità, in cui si possa dare agli artisti e alle maestranze locali la possibilità di crescere». (redazione@corrierecal.it)


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