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l’intervista del corriere della calabria

Mentana: «Sono figlio di un calabrese. Se una regione non è sicura i suoi figli se ne scappano»

«Una fortuna visitare la Sinagoga di Bova e la villa di Casignana: incredibile, è come se il foro romano avesse sopra l’autodromo di Monza»

Pubblicato il: 14/09/2024 – 23:25
Mentana: «Sono figlio di un calabrese. Se una regione non è sicura i suoi figli se ne scappano»

CASIGNANA «Non sarei venuto fin qui se non avessi avuto notizia della bellezza di ciò che era stato riportato alla luce qui a Casignana. Vedere personalmente i luoghi è sempre qualcosa che io consiglio a chiunque, perché permette di constatare che tesori inestimabili ci sono in ogni parte d’Italia e come spesso questi tesori che riemergono vengono trattati  come se fossero fondi di magazzino»: sono le parole di Enrico Mentana, che oggi ha trascorso una giornata alla ricerca delle sue origini.
«Oggi – ha detto al Corriere della Calabria il giornalista – ho avuto la fortuna di visitare sia la Sinagoga di Bova e sia queste meraviglie delle Terme e della villa romana di Casignana: praticamente è come se noi avessimo Ostia antica con sopra l’autostrada del Sole o il Foro Romano con sopra l’autodromo di Monza. È una cosa abbastanza incredibile: questo straordinario mosaico di Dioniso a cavallo della tigre che sta esattamente a 5 metri dalla strada statale 106».
Un patrimonio che secondo Mentana «non si sa valorizzare, se si tiene nascosto qualcosa non si può pretendere che poi il resto del mondo lo conosca. Chiunque senta parlare della Calabria difficilmente avrà sentito parlare della Sinagoga di Bova o delle terme di Casignana. È ingeneroso parlare di ciò che c’è nel mezzogiorno d’Italia in termini liquidatori o peggio portando sempre come primo elemento il supposto vittimismo di chi ci abita o della rassegnazione. È vero però che se uno vede questi posti dice: è mai possibile che chi ha il progetto di queste città, di queste province, di questa regione non si rende conto che molto meno viene pubblicizzato molto di più, molto meglio e con molti più visitatori in altre parti del mondo?

Tra poco la discussione si amplierà al Mediterraneo e alla comunicazione con riferimento a questo che è un concetto particolarmente complicato: come è possibile parlare spiegare e comunicare il Mediterraneo con tutto quello che significa soprattutto oggi?
«È particolarmente difficile.  Stiamo nel pieno di due guerre che di fatto insistono entrambe sul Mediterraneo, da nord e da sud, e inoltre e abbiamo benissimo presente come l’altro fenomeno di una guerra strisciante, che è quella delle migrazioni, incide sulla vita comune, sul percepito comune più che sulla realtà comune. È il momento più difficile per fare questi discorsi a mente serena, la cultura del Mediterraneo sono tante culture diverse, perché il Mediterraneo è contemporaneamente la Croazia e la Libia, e le Baleari e Cipro cioè stiamo parlando di tante cose diverse e del resto non è un caso che sul Mediterraneo siano nate antiche straordinarie civiltà del mondo, Roma, Grecia, Egitto, la Terrasanta…».

Il tema delle migrazioni è attuale, tanto più nel giorno della richiesta di 6 anni di reclusione per Salvini nel caso open Arms ma anche dopo le notizie che riguardano i dialoghi tra guardia di finanza e guardia costiera nella tragedia di steccato di Cutro: di certo non c’è serenità nell’affrontare questi temi, non crede?
«Il problema di fondo è che questi temi sono diventati materia di propaganda elettorale. Se ne parla agitandoli come se fossero il più grave dei problemi o – dall’altra parte – come se fossero la cartina di tornasole dell’insensibilità dei governi. Così facendo non si va da nessuna parte. È ovvio ed evidente è che nessun giornalista può fare propria la teoria che per molti anni ha prevalso del “ricacciamoli tutti indietro”, blocchiamoli. Nel momento in cui tra l’altro il paese ha un disperato bisogno di nuova manodopera industriale. D’altra parte molto spesso si vede come la vita nei centri urbani non permetta di vedere cosa succede là dove ci sono le contraddizioni più forti. Chi è più periferico, più marginale, meno inserito, meno garantito. Bisognerebbe mettere a registro il dibattito su cosa fare e cosa non fare senza però mettere l’accento enormemente quando a compiere un delitto o un reato è un extracomunitario o un migrante e al contrario poi chiedere ogni tipo di clemenza se a compiere il reato contro un migrante è un italiano».

Che idea ha Enrico Mentana della Calabria?
«Sono figlio di un calabrese quindi non ho la distanza critica per parlarne. Tanto doveva essere fatto e non è stato fatto sul piano dello sviluppo, sul piano del turismo, sul piano della criminalità. Se una regione non viene ritenuta sicura, serena, promettente sono i suoi figli i primi ad andarsene. Le città del Nord sono piene di giovani calabresi che si fanno strada e questo è anche segno di disperazione. E della debolezza della regione da cui scappano».

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