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il verdetto

Pressioni su Emanuele Mancuso, sentenza annullata per l’ex Chimirri e Pugliese: si torna in Appello

La decisione è della Corte di Cassazione sul ricorso della Procura generale relativamente al rito abbreviato

Pubblicato il: 14/09/2024 – 13:59
di Giorgio Curcio
Pressioni su Emanuele Mancuso, sentenza annullata per l’ex Chimirri e Pugliese: si torna in Appello

VIBO VALENTIA La Corte di Cassazione si è espressa sul ricorso presentato dalla Procura generale contro la sentenza emessa in sede rito abbreviato a luglio dello scorso anno. Si tratta del filone del processo che riguarda Francesco Antonio Pugliese e Nensy Chimirri e le presunte pressioni esercitate dalla famiglia su Emanuele Mancuso – difeso dall’avvocato Antonia Nicolini – che, nel 2018, aveva deciso di saltare il fosso e collaborare con la giustizia.

La decisione

La Cassazione ha annullato la sentenza impugnata nei confronti di Francesco Paolo Pugliese – accusato di reati in materia di armi e di avere favorito la latitanza di Giuseppe Mancuso – relativamente alla caduta dell’aggravante mafiosa, come aveva stabilito la Corte d’Appello di Catanzaro nella sentenza emessa a luglio dello scorso anno «in relazione ai reati di cui ai capi a), b), c) e d) ed al trattamento sanzionatorio con rinvio per un nuovo giudizio ad un’altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro». Annullata la sentenza impugnata – anche agli effetti civili – nei confronti dell’altra imputata, l’ex compagna di Emanuele Mancuso, Nensy Chimirri e, anche in questo caso, con «rinvio per nuovo giudizio sul capo “k” ad altra sezione della Corte d’Appello di Catanzaro». La Cassazione ha inoltre rigettato nel resto i ricorsi del Procuratore generale e della parte civile Emanuele Mancuso, dichiarando inammissibili anche i ricorsi di Pugliese e Chimirri, condannati al pagamento delle spese processuali.


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Le “pressioni” della famiglia

Un capitolo, questo, ancora da scrivere dunque con il rinvio in Appello. Il prossimo 20 settembre, invece, si deciderà sulle sorti di Giuseppe Mancuso, fratello del collaboratore, il padre Pantaleone Mancuso, detto “l’ingegnere”, la madre Giovanna Del Vecchio, la zia Rosaria Del Vecchio e la sorella Desiree Mancuso, per i quali la Procura generale aveva presentato appello in Cassazione. La decisione di pentirsi presa del rampollo del clan di Limbadi proprio una settimana prima della nascita della propria figlia, secondo l’accusa aveva spinto i familiari a compulsare il ragazzo per farlo desistere dal suo intento, da una lato con le cattive, compresa quella di non fargli vedere la figlioletta appena nata, e dall’altro con le buone: promettendogli che gli avrebbero aperto un bar in Spagna dove sarebbe potuto andare a vivere lontano da tutto.

Lo sfogo

Emanuele Mancuso ha, qualche settimana fa, preso parte al processo “Maestrale-Carthago” che si sta celebrando in aula bunker, a Lamezia Terme, davanti ai giudici del Tribunale di Vibo Valentia, delineando profili e responsabilità di alcuni imputati, parlando anche di Ascone “U Pinnularu”. Nei mesi scorsi, invece, aveva fatto molto rumore l’intervista rilasciata a “TV7”, dove ha raccontato la battaglia per l’affido della figlia, «una battaglia lunga 5 anni», e soprattutto le difficoltà che anche le istituzioni frappongono al ritorno a una vita normale. Una vittoria a metà, la sua, perché – emerge dal servizio di TV7 – Emanuele Mancuso è riuscito a sottrare la figlia dal dominio della cultura mafiosa ma dall’altro conduce un’esistenza senza luci: «Faccio solo volontariato, lavoro non me lo trovano e se riesco a trovarlo per diversi motivi mi dicono sempre di no. La chiamano protezione ma nella sostanza la mia è una detenzione domiciliare a tutti gli effetti. Il livello di protezione – spiega il collaboratore di giustizia – è alto, il problema è fare qualcosa nella giornata, avere degli amici. Ci sono purtroppo anche disfunzioni del Servizio centrale che non riescono a reinserirti, non ti aiutano. Io sono da solo: io e la bambina. Ti fanno pagare tutto, anche la vita che respiri». (g.curcio@corrierecal.it)

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