REGGIO EMILIA «Il primo omicidio eccellente di mafia si è verificato a Torino, non a Palermo nè a Reggio Calabria». A parlare è Gaetano Calogero Paci capo della procura di Reggio Emilia e già procuratore aggiunto di Reggio Calabria. L’occasione per discutere di mafia è la Festa dell’Unità del Pd che dedica un panel a “Mafie e antimafie: Quali politiche sociali, strumenti di prevenzione e giudiziari per il contrasto”. «La mafia nel nostro paese non è un’emergenza», esordisce il procuratore che aggiunge: «come ha recentemente detto il procuratore nazionale antimafia Gianni Melillo è un elemento strutturale del nostro sistema».
L’inchiesta nome in codice Aemilia e il successivo processo rappresentano per il procuratore la certificazione «del passaggio e della trasformazione della ‘ndrangheta da soggetto militare a soggetto che sul territorio si interessa di attività economiche legali». Le dichiarazioni rese dal procuratore, nel corso di una recente audizione in Commissione parlamentare antimafia, riportano anche l’esempio di una intercettazione ritenuta significativa nel descrivere il processo di trasformazione della criminalità organizzata calabrese. La captazione è illuminante, le parole pronunciate vengono attribuite ad un esponente della cosca Bellocco che, scontata la pena, non torna in Calabria ma va a Granarolo e dice ai figli “tu scendi in Calabria e ti occupi della monnezza, tu invece devi restare qui a fare l’imprenditore”.
Le mafie, dunque, sono a tutti gli effetti un problema di sistema e per contrastarle «serve una strategia complessiva, che faccia leva sulla repressione giudiziaria, ma che tenga conto anche degli aspetti di prevenzione: particolarmente importanti nella misura in cui cercano di creare delle barriere alla possibilità che le attività mafiose contaminino, condizionino e egemonizzino vari settori». Resta ovviamente necessario sviluppare degli anticorpi in grado di tenere lontani gli appetiti della mala. «Occorre anche creare delle barriere perché nelle nuove generazioni il sistema di valori porti a ripudiare la mafia come sistema di vita». Secondo Paci, in questo momento «ci troviamo in una fase stallo, vediamo parlare di mafia soltanto in occasione di commemorazioni, quando si tratta di ricordare esponenti delle istituzioni, giornalisti, sacerdoti o semplici cittadini che sono morti per mano mafiosa».
L’intervento del procuratore prosegue, e Pace tratteggia i contorni di quello che definisce un grande paradosso. «Il nostro Paese non vuol sentire parlare di mafia perché è una cosa che dà fastidio, nel momento in cui si parla o si dovesse parlare seriamente di mafia allora dovremmo mettere in discussione per esempio la legittimità di un sistema economico, parlo a livello globale, che ha accettato la mafia». Paci continua: «Parlare di mafia in questi settori diventa complicato. Anzi, addirittura, si rischia di essere visti come dei marziani, come pur è capitato a me in questa provincia (Reggio Emilia, ndr). Il procuratore sostiene la necessità di compiere una scelta. «Noi ormai combattiamo questo fenomeno da tantissimo tempo. Nel bene come nel male, grazie alla magistratura, abbiamo evitato che la nostra democrazia diventasse l’espressione di un potere oppressivo, violento, come era quello della mafia che non ha fatto mistero di ricorrere anche alle bombe e alle stragi pur di affermarsi come interlocutore del sistema complessivo». L’errore, chiosa Paci, è «pensare che la mafia sia un’emergenza, quando in realtà nella sua evoluzione quotidiana ha ampiamente condizionato tantissimi settori». (f.benincasa@corrierecal.it)
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