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‘Ndrangheta, i racconti del pentito “azionista” dei Catarisano: «Volevo allontanarmi ma temevo per la mia vita»

Sandro Ielapi salta il fosso e parla con i pm della Dda. «Non ero affiliato ma a loro disposizione». «Non mi sono mai esposto con il loro nome»

Pubblicato il: 18/09/2024 – 18:23
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta, i racconti del pentito “azionista” dei Catarisano: «Volevo allontanarmi ma temevo per la mia vita»

CATANZARO «Ho chiesto di essere sentito e di collaborare con la giustizia perché principalmente se esco di qua so che qualcuno vuole togliermi di mezzo perché ho commesso molte cose brutte». È una delle prime confessioni di Sandro Ielapi rese a giugno davanti alla pm Debora Rizza e al ff delle Dda di Catanzaro, Vincenzo Capomolla.
Il classe ’75 considerato elemento della famiglia di ‘ndrangheta dei Catarisano attiva sul territorio di Roccelletta di Borgia, Borgia, Cortale, Girifalco e zone limitrofe, ha deciso così di saltare il fosso e i suoi verbali sono già stati depositati nel processo che vede alla sbarra Francesco “Ciccio” Gualtieri, il classe ’80 considerato il responsabile del duplice omicidio di Giuseppe Bruno e Caterina Raimondi, morti entrambi nell’agguato avvenuto nella notte del 18 febbraio del 2013, a Squillace.

L’ingresso nella cosca nel 2006

«Ho fatto 10 anni di sorveglianza, quindi rinchiuso a Girifalco tutto quel tempo conoscevo bene il territorio. Sono entrato e mai uscito dalla cosca Catarisano. Con gli arresti dell’operazione “Jonny”, mi sono allontanato da Abbruzzo e Citraro che erano liberi». Il nuovo collaboratore racconta poi di essere «entrato nella cosca di Borgia intorno alla fine del 2006 con Giulio Passafaro». E ancora: «Avevo la raccolta del ferro vecchio ed avevo debiti. Sono entrato in contatto con Vincenzo Tolone, del cementificio. Lui aveva problemi con la cosca di Vallefiorita (…) frequentando il cementificio, perché mi rifornivo del ferro che avrei rivenduto, ho conosciuto Tolone e sono entrato in confidenza».
Nelle sue dichiarazioni, Ielapi spiega di essere uscito dal carcere e di essere stato contattato da Tolone «e mi convoca al cementificio dove trovo Salvatore Abbruzzo e Francesco Gualtieri». «Mi portarono su una stradina che portava in un boschetto e mi chiesero che intenzioni avessi e cosa volessi fare con loro. Io risposi di voler essere con loro. Conoscendoli e perché mi portarono in quella stradina, mi sentii di dare quella risposta. Da quel momento ero entrato nella loro cosca».



L’affiliazione mancata

Il racconto di Ielapi è coperto da una lunga serie di omissis, poi illustra i dettagli del duplice omicidio Bruno-Raimondi e va oltre, parlando delle dinamiche interne al clan. «Dovevo fare il rito di affiliazione con Giulio Passafaro. Dovevamo andare a Sellia Marina ma mentre eravamo sulla strada all’altezza della benzina ci chiamò Giulio per dirci di tornare indietro che non si faceva più. Poi mi arrestarono e non si fece più niente, anche perché non ero interessato». E ancora: «Poi fu ucciso Giulio Passafaro ma non mi fu più proposta affiliazione né l’ho richiesta». «Sebbene non affiliato» spiega Ielapi «ero a disposizione ed operativo per la cosca».  

«Temevo per la mia incolumità»

Poco più di un mese dopo il pentito si ripresenta davanti ai pm, riconfermando la volontà di collaborare. «Voglio precisare che dopo gli arresti dell’operazione “Jonny” del 2017 e fino a quando io venni arrestato per l’operazione di Monte Covello, decisi di prendere le distanze tanto da – omissis – che dai componenti della cosca Catarisano. Ciò era dovuto al fatto che da qualche tempo temevo per la mia incolumità sia da parte di (…) che del gruppo Catarisano». Il pentito parla di una vicenda omissata e spiega che «rientrava in quelle condotte che comunque mantenni tra il 2017 ed li 2019 verso i Catarisano perché non potevo sottrarmi, in quanto questo avrebbe fatto sospettare un mio comportamento non più consono alla messa a disposizione che avevo sempre garantito alla cosca».

Il “basso profilo”

Nel verbale, inoltre, il nuovo collaboratore spiega anche cosa ci fosse alla base delle sue azioni criminali: «Voglio aggiungere che, sebbene io fossi stato talvolta compensato con denaro per le azioni criminose commesse in tutto il periodo in cui ho fatto parte del gruppo, vivevo del mio lavoro, per cui non lo facevo per denaro». «In ragione della mia posizione all’interno del gruppo criminale Catarisano ovvero di “azionista”, sebbene lo potessi chiedere le estorsioni in via autonoma perché questo non avrebbe trovato ostacoli da parte del gruppo criminale, tuttavia cercavo di mantenere un profilo basso, decidendo di non espormi utilizzando il nome della cosca di appartenenza». (g.curcio@corrierecal.it)

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