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Essere Cristiani è riappropriarsi della propria fragilità

Vedo in giro,insieme a tanta autoreferenzialita’ (il male assoluto del nostro tempo),molta falsità perfino sulle cose più intime.Tutti si raccontano presentando storie personali completamente inve…

Pubblicato il: 21/09/2024 – 9:55
di Nunzio Raimondi
Essere Cristiani è riappropriarsi della propria fragilità

Vedo in giro,insieme a tanta autoreferenzialita’ (il male assoluto del nostro tempo),molta falsità perfino sulle cose più intime.
Tutti si raccontano presentando storie personali completamente inventate,come se l’apparenza potesse supplire alla sostanza,come se gli altri non si accorgessero di chi hanno davanti!
Questa rappresentazione di se’ (in genere completamente inveritiera) che i social hanno amplificato a tal punto da confondere “gli aggettivi con i sostantivi” (PP Franciscus),ha condotto ad un mondo farlocco nel quale nessuno riesce a vivere nella verità.
Ora,però,vorrei dire che se c’è una verità da recuperare,questa non è soltanto quella che riguarda i fatti, ossia quella oggettiva,ma sopratutto quella che riguarda i soggetti,ossia quella soggettiva.
E di questo mi pare si occupi la Parola di oggi.
E comincio da me.
Per lungo tempo ho vissuto in uno stato di grazia fino a quando non ho conosciuto il peccato,al quale devo tanto,perché,grazie ad esso,sono sceso negli abissi e da questi sono potuto risalire.
Consiglio a tutti i Cristiani (sopratutto ai “giusti”) di fare l’esperienza: perché più siamo immersi nella nostra povera umanità,più non ci sentiamo “abbandonati alla tentazione” ed aneliamo a tornare a Dio,sviluppando un profondo desiderio di Lui.
Mi si dirà: ma son cose dette e ridette: noi cattolici le sentiamo da una vita…
A questa osservazione mi sento di replicare: una cosa è ascoltare con l’orecchio ed altro è vivere davvero la condizione di peccatore,cioè ascoltare col cuore.
Nel Vangelo di oggi Gesù è fin troppo esplicito:”…non sono venuto a chiamare i giusti,ma i peccatori”.
E non si tratta di generalizzare,nel senso di dire “siamo tutti peccatori…”;si tratta di sentirsi realmente privati della grazia,del soffio dello Spirito e,quindi,“chiamati” direttamente in causa dalla misericordia di Dio.
Questa “chiamata” consente,in primo luogo,di “riappropriarsi della propria fragilità”(don Rino Grillo),avvertendo il bisogno di ritrovare la grazia perduta affidando la nostra vita a chi,soltanto con il nostro consenso,può guidarla.
Penso che abbia proprio ragione questo bravo sacerdote della nostra Diocesi il quale vede nel riacquistare il senso della propria debolezza un tratto essenziale del nostro essere Cristiani.
A questa profonda riflessione vorrei soltanto aggiungerne un’altra:
la caducità di cui si parla non deve essere simulata,come spesso avviene perché semplicemente inscenata o perfino ostentata,ma essa ha da essere vissuta nella consapevolezza autentica d’essere peccatori.
Solo così si riesce davvero a “vegliare”, ricordando di non cadere e sentendoci sempre sostenuti dalla presenza di Cristo accanto a noi.

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