VIBO VALENTIA «Hanno fermato il camion della raccolta rifiuti, è stata puntata una pistola all’autista intimandogli di scendere dal mezzo. Dopo è stata incendiato con liquido infiammabile». A parlare è il collaboratore di giustizia Bartolomeo Arena, ascoltato lunedì nel processo contro esponenti della ‘ndrangheta vibonese accusati di diverse estorsioni e richieste estorsive. Nell’udienza, svolta nell’aula del vecchio tribunale di Vibo, sono stati escussi anche altri tre test, tra cui il vicesindaco di Filadelfia Maurizio De Nisi, ammesso come parte civile per via di una richiesta estorsiva avanzata alla De Nisi Srl. Tra i capi d’imputazione anche le presunte estorsioni alla Ased Srl e alla Dusty Srl, due ditte incaricate nella raccolta dei rifiuti. Imputati nel processo sono Domenico Macrì, il collaboratore di giustizia Andrea Mantella, Domenico Camillò, Michele Manco, Salvatore Mantella, Vincenzo Mantella, Andrea Ruffa, Domenico Serra, Francesco Antonio Pardea e Salvatore Morelli.
È proprio sugli ultimi due citati che si concentra la deposizione di Arena. Francesco Antonio Pardea, condannato a 20 anni in Rinascita Scott, viene considerato dagli inquirenti al vertice della ‘ndrina Pardea Ranisi di Vibo Valentia. Salvatore Morelli, che lo stesso Mantella ha definito «suo erede naturale», sarebbe legato allo stesso clan, con condanna in primo grado in Rinascita Scott a 28 anni di carcere. Quest’ultimo sarebbe stato particolarmente attivo nel campo delle estorsioni, oltre che autore di vari danneggiamenti nel centro di Vibo, come riconosciuto nella sentenza di Rinascita. «Io l’ho conosciuto che era un ragazzino. Sono più grande di lui, l’ho conosciuto con i suoi cugini» racconta in aula Arena su domande degli avvocati Giuseppe Di Renzo e Giovanni Vecchio. Arena racconta le uscite con Morelli: «Ci vedevamo, mangiavamo anche a volte insieme ma sempre in luoghi non visibili al pubblico». Il collaboratore riferisce anche di diversi incontri al «cimitero di Longobardi».
Nel racconto del collaboratore anche l’intimidazione alla ditta dei rifiuti Ased Srl, quando tra il 20 e il 21 aprile 2016 venne dato alle fiamme un camion in quel momento in servizio: «Hanno fermato il camion della raccolta rifiuti, gli hanno puntato la pistola all’autista intimandogli di scendere dal mezzo. Poi è stato incendiato con liquido infiammabile. Si trattava di una società di Melito Porto Salvo, la Ased» spiega Bartolomeo Arena, che però precisa: «L’ho saputo dai diretti interessati, è successo nel 2016, però io non c’entravo. Non ebbi somme per questo atto criminoso in particolare, successivamente nel 2017 ebbi 400 euro da Pardea che mi disse che Salvatore Morelli aveva raccolto una prima tranche dalla estorsione per la raccolta rifiuti e aveva deciso di mandare soldi anche a me». Non una somma “dovuta” ma «un regalo che mi hanno fatto», spiega Arena, «perché precedentemente avevo mandato dei soldi a lui per un’estorsione che avevo fatto io». (Ma.Ru.)
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