TORINO La sua partecipazione al sodalizio criminale di Carmagnola legato alla ‘ndrangheta non era stata presa in considerazione da subito. Un uomo “nell’ombra” emerso però man mano che gli inquirenti, partendo dall’inchiesta “Carminius”, sono riusciti a ricostruirne i movimenti e i legami, sebbene non risultasse tra gli iscritti nel registro degli indagati. Poi, seguendo il filo e mettendo a posto i pezzi del puzzle, gli inquirenti della Dda di Torino, guidata dal nuovo procuratore Giovanni Bombardieri, lo ritengono senza alcun dubbio un «membro del sodalizio carmagnolese». Parliamo di Domenico Ceravolo, torinese classe ’77, operatore sindacale e membro della segreteria della Filca-Cisl, tra le sei persone fermate dalla Guardia di Finanza su ordine della Distrettuale antimafia di Torino. Ceravolo, infatti, «avrebbe contribuito al “controllo” del settore edile da parte del sodalizio, favorendo interessi delle imprese ad esso contigue rispetto ai lavoratori iscritti (…)».
Per gli inquirenti della Dda di Torino è «un partecipe del sodalizio carmagnolese, al quale è legato da diversi anni». Trasferitosi in Piemonte dal Vibonese, in concomitanza con la scoperta «della sua contiguità con appartenenti alle locali ‘ndranghetiste di quella zona», scrivono gli inquirenti, Ceravolo «finito sotto usura ad opera di alcuni appartenenti alla ‘ndrangheta, da altri è stato invece “protetto” ed anche utilizzato quale intestatario fittizio di beni» si legge. L’uomo, inoltre, sul territorio «si sarebbe messo a disposizione prima della cosca e poi di Francesco D’Onofrio, dirigente della ‘ndrangheta piemontese». Per gli inquirenti inoltre «è particolarmente rilevante la circostanza che sia un dipendente del sindacato Filca-Cisl, operante nel settore dell’edilizia, che riceva remunerazioni particolari dal sindacato, legate al procacciamento di iscritti presso le ditte del settore». Per l’accusa, infatti, Ceravolo «avrebbe svolto tale attività d’intesa con D’Onofrio ed utilizza il suo ruolo per coltivare interessi propri del sodalizio ‘ndranghetista».
Una nuova inchiesta, quella della Procura del capoluogo piemontese, che si aggiunge alle tante che hanno colpito in passato – e duramente – l’attività legata alla ‘ndrangheta sul territorio e strettamente connesse alla “casa madre” calabrese. Anche in questo caso, le investigazioni si sono concentrate sul territorio di Carmagnola. In quest’angolo piemontese, infatti, il sodalizio è presente ed organizzato da più di un decennio, frutto di una forte immigrazione di famiglie calabresi, provenienti dal vibonese ed in particolare dalla cittadina di Sant’Onofrio, il regno indiscusso della famiglia Bonavota. Per gli inquirenti non c’è alcun dubbio, si tratta di un’articolazione appartenente alla rete unitaria della ‘ndrangheta del Piemonte e lo confermano i rapporti tra i suoi appartenenti e gli affiliati ad altre articolazioni piemontesi.
Tra le persone legate al gruppo, dunque, c’è il classe ’77 Ceravolo. I suoi contatti con appartenenti al sodalizio risalirebbero già al 2017. Nel fermo dell’indagine “Factotum” della Distrettuale antimafia di Torino, c’è una annotazione degli uomini del GICO della Guardia di Finanza che ricostruisce i movimenti di Ceravolo, a tutti gli effetti «un sodale del gruppo criminale» tant’è che uno dei vertici del sodalizio, Salvatore Arone, «ben conoscesse la sua peculiarità operativa» come ad esempio la capacità di «reclutare operai nelle fila del sindacato per cui lavorava, realizzato di concerto con i datori di lavoro, per poi disporre di canali relazionali tra i predetti titolari d’impresa ed il sodalizio ‘ndranghetista», si legge nel fermo. Nell’annotazione, gli uomini del GICO segnalano: 47 contatti telefonici con Salvatore Arone, incontri con Francesco Arone e incontri con Raffaele Arone, incontri con Serratore Raffaele, incontri con Serratore Antonio e con Onofrio Garcea, condannato definitivamente quale capo dell’articolazione genovese della cosca “madre” Bonavota, cui anche le famiglie carmagnolesi sono collegate.
«Gli interlocutori hanno più volte organizzato incontri senza, tuttavia, quasi mai riferire quello che sarebbe stato l’oggetto di discussione e se allo stesso vi avrebbero preso parte anche altri soggetti. Gli incontri tra i due sono stati organizzati ora a Carmagnola presso l’ufficio Filca-CISL, il cui referente era Domenico Ceravolo (…) ora a Torino nei pressi del concessionario “Progetto Spa” dove la figlia di Salvatore Arone prestava la propria attività lavorativa (…)». Questo è il sunto dell’annotazione riepilogativa depositata nell’inchiesta “Factotum” della Dda di Torino, che integra quella del febbraio 2020, andando a riprendere tutti gli elementi indiziari emersi a carico di Ceravolo, si legge nel fermo che include poi le 47 telefonate registrate.
In un altro episodio ricostruito dagli inquirenti e finito nel fermo, Ceravolo «avrebbe procurato un incontro con un imprenditore pregiudicato per reati inerenti al traffico di stupefacenti, e quantomeno contiguo alla ‘ndrangheta del Piemonte. L’incontro, per come accertato e dopo accordi telefonici, sarebbe avvenuto proprio nella sede dell’imprenditore in questione. «Uno degli argomenti affrontati dall’imprenditore e Salvatore Arone» si legge nell’annotazione della GdF «attiene alla provenienza “geografica” del personale impegnato in un cantiere del quale non è stato rivelato alcun dettaglio utile per l’individuazione dello stesso. Arone ha, infatti, comunicato che all’interno dello stesso erano già impiegali “ragazzi di Carmagnola”». (g.curcio@corrierecal.it)
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