LAMEZIA TERME Un ex militante di “Prima Linea”, un amico ventennale e due pistole nascoste. Tutti ingredienti di una storia che arriva da Torino e che è finita nelle pagine del fermo di indiziato di delitto, emesso dalla Distrettuale antimafia del capoluogo piemontese ed eseguito nei confronti di sei persone dagli uomini della Guardia di Finanza di Torino, guidati dal generale Carmine Virno, nel blitz “Factotum”.
Sullo sfondo lo scenario ‘ndranghetista e “vecchi” personaggi come Franco D’Onofrio, il classe ’55 di Mileto coinvolto nell’inchiesta “Minotauro”, libero dopo aver scontato la sua condanna emessa proprio al termine del processo contro le cosche di ‘ndrangheta in Piemonte, e ora arrestato nuovamente. L’altra figura emersa è Claudio Russo, uomo «al servizio di Francesco D’Onofrio» scrivono i pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni. Come annota la pg, infatti, il legame con D’Onofrio risalirebbe «almeno ad un ventennio fa» e sarebbe nato nell’ambito «dell’eversione e dell’esecuzione, da parte di soggetti legati al mondo del terrorismo, di rapine».
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I pm della Dda sono convinti, dunque, che D’Onofrio sia in possesso di due armi da fuoco: una 7.65 parabellum e una Smith & Wesson calibro 38 a tamburo: quest’ultima verrà ritrovata nel vano scale del condominio – nascosta in un muro nelle parti comuni – nel corso delle perquisizioni effettuate al momento del fermo del classe ’55. Della prima invece non c’è traccia.
È il 28 febbraio 2024 quando gli inquirenti riescono ad intercettare una conversazione tra D’Onofrio e Russo. «È l’ultimo modello però è bella Franco!», esclama quest’ultimo mentre si trova nell’appartamento dell’amico. «I due – si legge nel fermo – fanno riferimento ad un’arma in possesso di Francesco D’Onofrio» presumibilmente «occultata al ‘interno della medesima abitazione». Dall’ascolto della conversazione la pg intuisce che, quello in questione, fosse solo un nascondiglio temporaneo. «(…) min**ia questa qui io l’avevo messa in un angolo, coperta solo con il telo e hanno messo sopra un nylon…». Come sarebbe emerso dal racconto, dunque, D’Onofrio avrebbe sistemato l’arma – in un primo momento – in un posto poi non più ritenuto idoneo, dopo aver visto degli operai che si trovavano nelle vicinanze dell’arma nascosta. «D’Onofrio ha mostrato il nuovo nascondiglio a Claudio Russo, ricavato all’interno della propria abitazione» è riportato nel fermo ma quest’ultimo lo avrebbe bocciato immediatamente. «(…) però così lo possono staccare, se mettono la mano! E se tu guardi sotto Franco? (…) non va bene lì Franco! No assolutamente no… togli questa cosa».
Nel corso della conversazione, D’Onofrio spiega all’amico di «aver individuato, all’interno del locale cantine condominiale, uno spazio “comune ” inutilizzato» è scritto nel fermo. C’era, però, un ostacolo non di poco conto: la porta chiusa con un lucchetto che rendeva lo spazio, di fatto, inaccessibile.
«(…) min**ia il problema è che non riesco ad aprirla…» confessa D’Onofrio a Russo. Quest’ultimo, poco dopo, va a fare un controllo senza riuscire neanche lui a forzare il lucchetto. L’idea di D’Onofrio, come riportato nel fermo, era quella di «ricavare una fessura all’interno della parete» si legge «al fine di realizzare un’intercapedine all’interno della quale occultare l’arma da fuoco». Successivamente, avrebbe dovuto impedire l’accesso alla stessa chiudendo il buco con del cemento, mettendoci su un chiodo al quale legare uno spago un pezzetto di spago per segnalarne la posizione. «(…) cosa fai? Questo è il muro? Gli metti un chiodo di quelli d’acciaio nel cemento…e poi fai il buco, poi il chiodo lo copri con del cemento e poi lo spago, lo metti di sotto…».
Un nuovo tentativo verrà effettuato poi il giorno dopo, è il 29 febbraio 2024, anche in questo caso senza successo. Poco più di un mese dopo gli inquirenti captano una conversazione in cui è ancora l’arma il tema principale e dalla quale emergerebbe come D’Onofrio e Russo si siano «accordati affinché quest’ultimo consegnasse “questa cosa” a D’Onofrio, subito dopo Pasqua». Come d’accordi e come ricostruito dagli inquirenti della Dda di Torino, qualche giorno dopo Pasqua, il 4 aprile 2024, poco dopo le 7 di mattina Claudio Russo effettivamente arriva a casa di D’Onofrio «portando al seguito, come si vede dalle immagini registrale dalla telecamera installata, un borsello». Gli inquirenti registrano una fugace conversazione – a bassa voce – in cui riescono a comprendere, dopo la chiusura di una zip, la cessione da parte di Russo di un’arma a D’Onofrio «per il suo occultamento e per la sua custodia», scrivono i pm Paolo Toso, Marco Sanini e Mario Bendoni. Una volta andato via, Franco D’Onofrio «inizia a maneggiare delle armi, con numerosi rumori di scarrellamento, manomettendo le componenti di un’arma da fuoco che, evidentemente, sta pulendo e/o oleando e si sente che spruzza un prodotto spray» fino alle 9.29 del mattino.
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Nel pomeriggio, invece, D’Onofrio avrebbe fatto una ricerca su Google, utilizzando il comando vocale, con gli inquirenti che riescono a capirne il contenuto. Il classe ’55, infatti, ha “interrogato” il web per conoscere «se un tipo di arma fosse o meno classificata come arma da guerra» si legge nel fermo. «7.65 parabellum è un’arma da guerra?» chiede D’Onofrio a Google. Per gli inquirenti si tratta di una ricerca certamente non casuale, legata evidentemente a quella in suo possesso e in procinto di nascondere in cantina. Nello stesso pomeriggio, infatti, D’Onofrio si reca in ferramenta e, tra una chiacchiera e una bestemmia con il negoziante, acquista due sacchetti, da un kg ciascuno, di cemento a presa rapida. Alla spesa aggiunge anche scalpello largo «(…) ma non è per me, me l’hanno chiesto…boh…» spiega al commerciante. Una volta uscito dal negozio si dirige a casa, non prima di aver incontrato Angelo Russo e un altro uomo ai quali spiega di dover andare a casa ad aggiustare il portone e che ad attenderlo «c’era un ragazzo», si legge nel fermo.
Una volta tornato, però, grazie al trojan installato nel suo telefono, gli inquirenti capiscono che ad attenderlo non c’era nessuno e che, anziché salire, scende in cantina. Grazie all’audio del microfonino la pg capisce che D’Onofrio sta effettuando dei lavori proprio in cantina «utilizzando lo scalpello che aveva al seguito» si legge e successivamente «si sente impastare, dopo aver preso dell’acqua il cemento a presa rapida che aveva appena acquistato». Di quest’arma, però, si sarebbero – al momento – perse le tracce. (g.curcio@corrierecal.it)
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