VIBO VALENTIA Con la chiusura delle indagini da parte della Distrettuale antimafia di Catanzaro nei confronti di 22 soggetti, tutti coinvolti nell’inchiesta ribattezzata “Porto Salvo” condotta sul campo dagli uomini dei Carabinieri e della Polizia di Stato di Vibo Valentia all’alba del 6 maggio scorso, tornano ad accendersi i riflettori, in particolare, sull’omicidio di Giuseppe Pugliese Carchedi e il tentato omicidio di Francesco Macrì. Già perché la Dda – nelle figure dei sostituti procuratori Giuseppe Buzzelli e Antonio De Bernardo – contesta i reati ora anche a Michele Fiorillo alias “Zarrillo” classe 1986 di Piscopio. Una svolta che, di fatto, rappresenta una novità. Finora, infatti, per l’omicidio di Carchedi erano stati indagati Rosario Mantino e Davide Fortuna, entrambi deceduti, e l’allora minorenne Rosario Fiorillo.
Un salto temporale, all’indietro, di ben 18 anni. È il 17 agosto del 2006, sono passate le 4 del mattino solo da pochi minuti quando Polizia e Carabinieri di Vibo intervengono sulla statale 522: qualcuno, infatti, ha segnalato un incidente sulla strada che collega Vibo Marina a Pizzo. Lo scenario immaginato, però, è ben diverso dalla realtà: gli agenti si trovano davanti ad una Lancia Y è andata a sbattere contro un muro e, al suo interno, con i piedi ancora nell’abitacolo e il resto del corpo supino sull’asfalto, giace un giovane morto ammazzato. Si tratta di Giuseppe Carchedi, all’epoca non ancora 26enne. Dai primi rilievi emerge che l’uomo, al momento dell’agguato, era seduto sul lato passeggero. Il guidatore però si trova solo nelle ore successive, era fuggito via ma, più che scampare ai killer, era stato graziato. Si trattava di Francesco Macrì, parente di Mantella e, proprio come Carchedi, è considerato persona vicina ad Andrea “a’ guscia”, tant’è che racconterà anche al futuro pentito dell’agguato del 17 agosto.
Gli inquirenti ricostruiscono gli avvenimenti e le risultanze investigative confluiranno nell’operazione “Outset”. Secondo le indagini, dunque, Rosario Fiorillo (minorenne), Mantino, Fortuna e proprio Michele Fiorillo, «dopo averne deliberato l’eliminazione» scrive la Dda «prendevano tutti materialmente parte all’azione omicidiaria, componendo il gruppo di fuoco». A bordo di una Renault 5, quella di Mantino, il gruppo raggiunte la strada per Pizzo e aspetta. In particolare, Michele Fiorillo e Rosario Fiorillo, si fermano nei pressi della curva a gomito della discesa che conduce dal piazzale antistante al castello di Pizzo Calabro, la SS 522. I due avrebbero così aspettato il passaggio dell’autovettura Lancia Y e, una volta intercettata, avrebbero sparato all’impazzata, colpendo mortalmente con una pistola cal.9, Pugliese Carchedi, posizionato sul lato passeggero, ferendo Francesco Macrì, posto al lato del guidatore. Una volta risaliti in auto, il gruppo si sarebbe poi messo all’inseguimento della Lancia, speronando e portando fuori strada la vettura e accorgendosi solo in quel momento della morte di Carchedi, risparmiando Macrì nel frattempo sceso dall’auto e in fuga dal luogo dell’agguato, riportando escoriazioni e lacerazioni alla mano destra, al gluteo e alla coscia.
Nell’ambiente criminale Carchedi era considerato una testa calda. All’epoca era fidanzato ufficialmente con la figlia di Enzo Barba, ma aveva instaurato una relazione clandestina anche con una ragazza minorenne, figlia di un uomo che farebbe parte del gruppo di Piscopio, Nazzareno Felice noto come “U Capu”. Oltre alla “questione d’onore” della ragazza minorenne, sarebbe stato lui ad incendiare lo zerbino di un bar di Pino Galati “il ragioniere”, e come ulteriore gesto di sfida avrebbe anche messo un cane morto in bella vista in piazza a Piscopio. Carchedi avrebbe anche minacciato con un fucile un cugino di Michele Fiorillo “Zarrillo”. Comportamenti «da pazzo» mal tollerati negli ambienti criminali e che richiedono risposte adeguate. Ancor prima di essere ucciso nell’agosto del 2006, a febbraio dell’anno prima Carchedi è vittima di un primo agguato al quale riesce a scampare. Poi, una volta dimesso dall’ospedale, viene arrestato. Sarà tragicamente fatale la sua scarcerazione avvenuta il 25 luglio del 2006: qualche giorno dopo cade in un altro agguato ma stavolta l’esito è drammatico. Secondo i collaboratori di giustizia, Andrea Mantella e Raffaele Moscato, l’agguato non era stato premeditato. Quella stessa sera, infatti, i killer si sono ritrovati davanti Carchedi – già condannato a morte per i Piscopisani – in un bar di Vibo Marina, reputandolo quasi un affronto.
Nei vecchi verbali, Moscato racconta quello che gli ha riferito Rosario Fiorillo: «”Chillu jiu Michele e sparau” dice, “Cu i pistoli a tamburo. E ci siamo messi dentro la macchina, mi misi proprio io senza guanti… e mi misi all’appoggia mani, pemma ci trasu dintra e pemma ci sparu” mi dissa, e Francesco Macrì “facia tricentu ccu i gambi, nel senso che scappava”… “però lo abbiamo fatto scappare noi”». «Eh! Ha ingannato una figliola, voi non sapete niente! Eh! Per onore l’hanno ammazzato! … ‘ngannau na figliola…», spiegava invece mentre era intercettata, una nipote del capocosca Carmelo Lo Bianco. (g.curcio@corrierecal.it)
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