CATANZARO Dall’Asl di Locri all’Asp di Reggio Calabria (due volte), dall’Asp di Catanzaro all’Asp di Vibo Valentia (due volte, l’ultima ieri). Da quando esiste la legge sullo scioglimento per infiltrazioni mafiose la Calabria vanta (anche) il record (negativo) di aziende commissariate: sei, la Campania è ben distanziata con due aziende sciolte per camorra. L'”Onorata Sanità”, dal nome di una famosa inchiesta della magistratura reggina che nel 2008 smascherò un intreccio micidiale e perverso tra ‘ndrangheta, politica collusa e imprenditoria anch’essa collusa, è l’espressione ormai entrata quasi nel gergo comune per descrivere il grado di inquinamento che le aziende sanitarie e ospedaliere calabresi, in buona parte, in passato hanno raggiunto. Attraversando una storia fatta di connivenze tra boss e politici, ruberie, sprechi, caos contabile e amministrativo, assunzioni decise dalle cosche, persino morti ammazzati.
Una storia che in realtà affonda nella notte dei tempi, agli anni ’80, quando ancora c’erano le Usl, Unità sanitarie locali, evoluzione delle Saub e antesignane delle Asp. Ce n’erano un sacco, più di 20 in Calabria, all’epoca generalmente governata dalla Dc e dai suoi “ras” sul territorio, e alcune Usl erano letteralmente zone franche: nel 1987 due di queste, Locri e Taurianova, furono le prime a conoscere l’onta dello scioglimento da parte del governo per infiltrazioni della ‘ndrangheta, prima ancora che esistesse la norma attualmente in vigore. Che invece sarebbe stata applicata successivamente almeno altre sei volte. In primo luogo contro l’Asl di Locri, sciolta nell’aprile 2006, pochi mesi dopo l’omicidio del vice presidente del Consiglio regionale, Francesco Fortugno, medico in servizio proprio nell’ospedale della cittadina calabrese: per anni Fortugno aveva denunciato lo “sfascio” della sanità locrese, restando sempre puntualmente e tragicamente inascoltato. Diventerà una sorta di “pietra angolare” la famosa relazione Basilone, dal nome del prefetto che fece l”accesso antimafia all’Asl di Locri descrivendo un quadro da “Gomorra” in salsa calabra, con appalti finiti in mano a ditte vicine alle cosche se non direttamente gestite dalle cosche, e dipendenti, primari compresi, assunti su segnalazioni dei boss, spesso con precedenti di polizia sul groppone: quella relazione fu la base dello scioglimento dell’Asl di Locri, che aprì il triste rosario. Nel 2008 il primo commissariamento per infiltrazioni mafiose della neonata Asp di Reggio Calabria, ancora monca perché l’Asl di Locri, già commissariata, non era stata interessata dall’accorpamento deciso dal Consiglio regionale nel maggio 2007, che riguardò le sole aziende sanitarie del capoluogo e di Palmi. Sono gli anni in cui esplode a livello nazionale il “bubbone” della sanità calabrese che sarebbe poi sfociato nel commissariamento del 2010, con l’ormai proverbiale “contabilità orale” delle aziende: e anche qui diventerà esemplare l’intercettazione, allegata all’inchiesta “Onorata Sanità”, dell’allora consigliere regionale Mimmo Crea, una “lezione” sul valore degli assessorati alla Regione. «La sanità è prima, l’agricoltura e la forestale seconda, le attività produttive terza; in ordine, dai, come budget…, 3 miliardi 360 milioni di euro hai ogni anno sopra il bilancio della sanità… . E nella sanità nessuno si accorge di niente, puoi fare quello che vuoi», diceva Crea intercettato mentre si confidava con un proprio collaboratore.
Il Consiglio dei ministri, in base alla relazione dell’allora ministro dell’Interno, Giuliano Amato, sciolse gli organismi di gestione l’Asp reggina per “accertate forme di condizionamento da parte della criminalità organizzata”. Secondo il decreto dell’epoca, gli interessi della ‘ndrangheta sarebbero intervenuti “pregiudicandone il regolare funzionamento dei servizi e costituendo pericolo per lo stato di sicurezza pubblica”. Le inchieste avrebbero fatto emergere “elementi sintomatici dell’infiltrazione e del condizionamento della criminalità organizzata”. Il secondo commissariamento dell’Asp reggina sarà deciso il 7 marzo 2019 dal Consiglio dei ministri, più o meno per le stesse ragioni. Nella tormentata storia dell’Asp di Reggio Calabria va messo nel conto anche un provvedimento dell’allora commissario della sanità calabrese Massimo Scura, che decise di autonominarsi commissario dell’azienda “a causa – spiegò – del perpetrarsi della grave situazione di cattiva gestione caratterizzata da un immobilismo amministrativo e gestionale che ha impedito la possibilità di mettere ordine alla situazione pregressa, addirittura aggravandola”. Nel 2010 il pugno di ferro del governo colpì l’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia. Le verifiche avrebbero evidenziato condizionamenti in ogni settore e la presenza di esponenti di alcune fra le maggiori cosche attive sul territorio tra il personale dipendente. In particolare, si leggeva nel decreto, “le famiglie mafiose dei Lo Bianco, dei La Rosa e dei Gasparro-Fiarè che risultano essere in rapporti di relazione diretta e/o indiretta con personale dipendente dell’Asp”. “Dalle attività svolte – evidenziava la relazione – è emerso che le aziende vincitrici dell’appalto di somministrazione pasti presso in presidi ospedalieri dell’Asp di Vibo Valentia… hanno sempre utilizzato personale dipendente risultato poi essere direttamente collegato alla consorteria criminale operante nel territorio di San Gregorio d’Ippona denominata cosca Gasparro-Fiare'”. Anche l’Asp di Cosenza, nel 2013, sempre per sospette ingerenze della ‘ndrangheta, finì la lente della commissione d’accesso nominata dalla prefettura, ma l’attività di ispezione non porto’ allo scioglimento ed al conseguente commissariamento. Non sfuggì invece all’azzeramento nel 2019 l’Asp di Catanzaro deciso dal governo dopo che era stato accertato il condizionamento da parte delle cosche del territorio: la commissione d’accesso antimafia era stata insediata dal Prefetto di Catanzaro, all’indomani dell’inchiesta “Quinta Bolgia” che aveva documentato i pericolosi intrecci tra il clan Iannazzo di Lamezia Terme e alcune società che gestivano servizi nell’ospedale della Piana. Ora, di nuovo l’Asp di Vibo Valentia, da sempre sotto pressione criminale (come dimostra l’intimidazione recente a un suo dirigente, Raffaele Bava), e infine commissariata ieri dal governo sulla scorta delle risultanze dell’inchiesta “Maestrale-Carthago”. Un altro tuffo all’indietro per una sanità calabrese che però negli ultimi anni sembra stia registrando un passo diverso, con un più rigoroso controllo da parte degli organi, anche politici: un passo diverso che a esempio si può riscontrare con il sostanziale ritorno alla normalità contabile, grazie a diverse inedite attività, come l’approvazione dei bilanci – la struttura commissariale guidata dal presidente della Regione Roberto Occhiuto ha infatti chiuso sia le partite 2022 sia quelle 2023 – che ha posto fine alla “contabilità orale” e al disordine finanziario che erano due delle “spie”, probabilmente le più significative, dell’inquinamento mafioso. E l’Asp di Vibo potrebbe anche essere il “laboratorio” finale di una rinascita della sanità finalmente libera dai tentacoli delle cosche. (a. cant.)
Il Corriere della Calabria è anche su WhatsApp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x