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Rimpiazzo

‘Ndrangheta, il ruolo da «contabile» dei Piscopisani di Michele Fiorillo. «Sa usare sia le armi che la testa»

Il gesto in tribunale e le lettere in carcere: i tre episodi decisivi per la condanna in appello di “Zarrillo” dopo l’assoluzione in primo grado

Pubblicato il: 29/09/2024 – 7:00
‘Ndrangheta, il ruolo da «contabile» dei Piscopisani di Michele Fiorillo. «Sa usare sia le armi che la testa»

VIBO VALENTIA Avrebbe continuato a «ricoprire il ruolo di capo all’interno della cosca» anche durante il carcere. È con questa motivazione che i giudici della Corte d’Appello di Catanzaro hanno condannato a 12 anni di carcere Michele Fiorillo alias “Zarrillo”, ritenuto al vertice della ‘ndrina dei Piscopisani. Il collegio, le cui motivazioni sono state rese pubbliche pochi giorni fa, ha ribaltato l’assoluzione avvenuta in primo grado, confermando ulteriormente l’atipica “carriera” processuale di Zarrillo. Delle vere e proprie “montagne russe”, non trattandosi questo dell’unico ribaltamento nei procedimenti in cui è imputato il presunto boss di Piscopio. Condannato a 8 anni nel processo Crimine, è stato assolto nel 2021 nel primo grado di Rimpiazzo, per poi venire condannato a 5 anni per un’estorsione in Rinascita Scott. Quest’ultima condanna ribaltata dai giudici d’appello che hanno assolto Michele Fiorillo. Percorso inverso nel processo Rimpiazzo contro le ‘ndrine di Piscopio: con la sentenza del 25 gennaio 2023 i giudici lo hanno ritenuto colpevole di associazione mafiosa condannandolo a 12 anni di carcere.

La figura di Zarrillo: il «contabile» della ‘ndrina

Ritenuto al vertice del clan dei Piscopisani, Michele Fiorillo viene indicato dai collaboratori di giustizia come «contabile» della ‘ndrina. Lui, racconta Bartolomeo Arena, «è il vero “personaggio” di Piscopio», uno che «sa usare sia le armi che la testa». «Ha moltissime amicizie nel reggino» e la sua attività illecita «spazia dallo spaccio di stupefacenti all’estorsione e all’usura». Una descrizione condivisa anche dal collaboratore Raffaele Moscato che parla di Zarrillo come colui che, insieme agli altri vertici, tra cui Rosario Fiorillo, «prendeva le decisioni più importanti» e «si occupava dei fatti di sangue e del controllo del territorio». Dichiarazioni che i giudici di primo grado non hanno ritenuto sufficienti, anche in virtù del fatto che nel periodo d’interesse, ovvero dal 2010 al 2017, l’imputato si trovava in carcere per scontare la pena derivante dal processo Crimine.

Per i giudici il carcere non prova la cesura con l’associazione mafiosa

Decisione non condivisa dai giudici d’appello che sottolineano, in primis, come la detenzione in carcere non implica l’esclusione dall’associazione mafiosa. Nel caso di Michele Fiorillo, poi, «non è in concreto emerso un momento di cesura rispetto all’adesione al sodalizio». Il collegio ripercorre le dichiarazioni di Raffaele Moscato, Andrea Mantella e Bartolomeo Arena, sottolineando come emerga «una condotta associativa dell’imputato riscontrabile senza soluzione di continuità quantomeno fino all’anno 2019» e quindi ben oltre il 2011 dove si concludono i fatti contestati nel processo Crimine. Viene poi citato il caso dell’estorsione nei confronti del circo avvenuta a Vibo, che proverebbe i «rapporti di cointeressenza tra il Fiorillo ed i vertici delle consorterie» vibonesi. Un episodio per cui “Zarrillo” è stato assolto in appello in Rinascita Scott, ma che, secondo i giudici d’appello di Rimpiazzo, sarebbe di «estrema rilevanza a prescindere dalla natura illecita».

Il gesto di «tagliare la gola» e le lettere: gli episodi alla base della condanna

Alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, si aggiungono quattro episodi avvenuti durante la detenzione che dimostrerebbero, secondo i giudici, l’intraneità di Fiorillo alla cosca. Il primo è un episodio risalente al 2011, quando in un tribunale di Locri si “incrociano” Michele e Rosario Fiorillo, con il primo che, secondo le dichiarazioni di Moscato, avrebbe rivolto al secondo «un gesto, quello di tagliare la gola, dando indicazioni rispetto alla faida in atto». Il secondo episodio risale a poco tempo dopo, quando con un permesso dovuto al decesso del padre Michele Fiorillo si reca a casa della madre a San Gregorio. Un incontro a cui avrebbe partecipato lo stesso Raffaele Moscato fingendosi un parente, approfittando dei controlli “vaghi” della Polizia penitenziaria che avrebbero permesso l’accesso indiscriminato alla casa di Fiorillo. In quell’occasione, racconta il collaboratore, avrebbero parlato anche della guerra contro il clan Patania con Fiorillo che avrebbe affermato «che una volta uscito dal carcere l’avrebbe fatta pagare a tutti quanti». Il terzo episodio riguarda una presunta missiva inviata da Rosario Battaglia (condannato a 28 anni nel rito ordinario) a Fiorillo tramite un terzo detenuto, nella quale ci sarebbe stato scritto che «fuori li avevano traditi». Zarrillo avrebbe poi risposto che «non avevano bisogno» di affiliazioni o accordi in quanto «loro erano più forti a livello di gruppo di fuoco». Racconti che per i giudici d’appello «hanno trovato riscontro», convincendoli a ribaltare l’assoluzione e condannando a 12 anni Michele Fiorillo. (Ma.Ru.)

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