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la riflessione

L’ultimo libro di Mimmo Nunnari

Gli sarà costato molto impegno, forse persino fatica fisica, a Mimmo Nunnari per scrivere il libro dedicato a De Gasperi che ha licenziato in questo mese di ottobre per i tipi della casa editrice …

Pubblicato il: 01/10/2024 – 9:53
di Bruno Gemelli
L’ultimo libro di Mimmo Nunnari

Gli sarà costato molto impegno, forse persino fatica fisica, a Mimmo Nunnari per scrivere il libro dedicato a De Gasperi che ha licenziato in questo mese di ottobre per i tipi della casa editrice Pellegrini di Cosenza. La presentazione ufficiale sarà il 10 ottobre presso la sede della casa editrice. Il volume racchiude due peculiarità: l’assemblamento del dato storico, supportato da foto e immagini che testimoniano il ritmare del tempo, e la progressiva narrazione degli eventi che pantografa il ruolo di De Gasperi nell’epoca angolare in cui visse. Il libro scansiona tutte le tappe della nascita della Dc, dall’alba di De Gasperi al crepuscolo di Zaccagnini, “spes ultima dea”, in 17 capitoli, più la prefazione di Pierluigi Castagnetti, un testimone attivo di quella stagione che ha fatto, nel bene e nel male, l’Italia democratica dopo vent’anni di dittatura fascista. Decisivo è il passo in cui Castagneti chiude la sua prefazione scrivendo: «Mi piace, infine, ricordare a conclusione di questa riflessione sul libro di Mimmo Nunnari, anche come auspicio per il futuro, ciò che diceva Martinazzoli: “Continuo a essere convinto che anche se io non lo vedrò, tornerà un tempo meno inclemente per questo seme della nostra storia”».

Nella bibliografia ufficiale sulla Dc, già molto ricca, Nunnari non aggiunge nulla, se non qualche passaggio del De Gasperi visitatore in e della Calabria, semmai chiarisce e perfeziona in modo pedagogico alcuni aspetti, con il piglio del cronista di razza; d’altra parte, l’autore con una storia di giornalista attento e puntuale alle spalle, non poteva lasciare vuoti o zone d’ombra. Nella biografia editata nel 2024, si segnalano, per la consistenza della ricerca e la scorrevolezza della narrazione, due titoli: questo di Nunnari e quello precedente di Antonio Polito, “Il costruttore: Le cinque lezioni di De Gasperi ai politici di oggi” (Mondadori, 2024). L’ex direttore de “Il Riformista”, in un passo del suo libro, scrive: «Chi vuole rottamare, chi promette di asfaltare, chi minaccia di usare la ruspa. I politici dei nostri giorni amano distruggere, annunciano di voler abbattere l’edificio del passato, anche se di solito finiscono per abbattersi da soli. Ci fu invece un uomo, quando l’Italia era ancora un regno ma stava per diventare una repubblica, che si propose come “costruttore”: Alcide De Gasperi. Intorno a lui, le macerie della guerra provocate da un grande “istruttore”. Eppure, De Gasperi riuscì a ricostruire l’Italia. In otto anni da presidente del Consiglio mandò via il re, difese l’integrità territoriale di un Paese sconfitto, ottenne i finanziamenti del Piano Marshall, portò Roma nel Patto atlantico e costruì l’embrione dell’Europa unita con Francia e Germania, creò la Cassa del Mezzogiorno e l’Eni di Mattei, promosse le grandi riforme sociali e avviò il miracolo economico.

Invece di una rivoluzione, fece una democrazia. Quella in cui oggi viviamo. Un uomo nato povero e rimasto umile, sobrio e devoto, così diverso non solo dai politici attuali ma anche da quelli del suo tempo. E infatti morì da “uomo solo” nella Dc. Ma l’Italia lo capì e lo ammirò: alla sua morte ci fu un’ondata di commozione nazionale e il treno che trasportò la salma da Borgo Valsugana a Roma fu accolto dalla folla in decine e decine di stazioni». Questa prosa fa il paio con quanto osserva l’Autore del saggio in questo suo ultimo lavoro. Nunnari per linee interne, essendo stato dentro la Dc, e Polito per linee esterne, come attento commentatore delle vicende italiane, arrivano alla stessa conclusione: De Gasperi fu un grande, forse il più grande italiano del Novecento.
Nunnari riserva anche pagine dimenticate, come quella della Bari del 1944 nella quale, di fatto, si gettano i semi della democrazia.

Si legge: «I congressi democristiani sono più o meno come libri di storia: non fanno parte soltanto della cronaca del partito scudo crociato, ma sono, in senso molto più ampio, tappe fondamentali della vicenda politica italiana; utili, per interpretarne le esperienze, così come i travagli ideologici dei movimenti politici nei decenni seguiti alla nascita della Repubblica, dopo la tragedia del fascismo e della guerra. Il primo congresso ufficiale democristiano si tenne a Roma tra il 24 e il 27 aprile 1946 nell’aula magna dell’Università “La Sapienza”, ma fu a Bari che il 27 gennaio 1944, il giorno precedente all’apertura del Congresso dei Comitati di liberazione nazionale, che si registrò un prologo importante: il “primo piccolo congresso della Democrazia Cristiana dell’Italia liberata”, in un Europa ancora non liberata dal nazifascismo. Dal congresso dei Cln di Bari, si levò la prima voce di libertà in un paese ancora per due terzi soggiogato dalle truppe tedesche.
I lavori furono introdotti dal giudice Michele Cifarelli, segretario del Cln di Bari, che dette lettura dei messaggi di Roosevelt, Stalin, Chiang Kai-shek, e poi da una relazione del filosofo Benedetto Croce dal titolo: “La libertà italiana nella libertà del mondo”.

Croce pose subito la questione istituzionale proponendo la “liquidazione del re”, considerato corresponsabile della guerra e dell’avvento di Mussolini, e nella parte finale del suo applaudito discorso mise in luce il significato che assumevano le vicende italiane nel post fascismo assumevano sul piano internazionale: “L’Italia è la prima terra d’Europa che viene ad essere liberata dal fascismo-nazismo e dagli invasori tedeschi; e dall’assetto che essa prenderà col favore delle nazioni alleate i popoli degli altri paesi europei guarderanno come a saggio della loro nuova vita”. A fine intervento i congressisti esplosero in una manifestazione irrefrenabile. Da ogni parte della sala affollata in ogni ordine di posto si levò vibrante il grido: “Abbasso il re, via il re”. Dopo Croce intervenne Giulio Rodinò, esponente del movimento cattolico napoletano, tra i fondatori del Partito popolare italiano, l’uomo che i democratici cristiani del Mezzogiorno consideravano il loro capo. Iniziò l’intervento con un omaggio commosso a Benedetto Croce, definendolo il “magnifico vecchio”: «Aveva vista devastata la sua casa, centro di amore e di bontà, centro di studi, faro per il mondo civile, aveva visto dispersi i suoi libri da una masnada in camicia nera».

Poi Rodinò rievocò Giacomo Matteotti, Giovanni Amendola, don Minzoni, e li rivide “nella pace con Dio”; infine, ricordò tutte le vittime meno note o ignote della tirannide fascista. Significativo, in merito al congresso dei Comitati di liberazione, appare il commento di Radio Londra il giorno successivo alla riunione: “Proprio in Italia, dove per vent’anni regnò la reazione totalitaria, sorge la promessa di un’altra vita. Succede oggi in Italia una cosa incredibile, inaudita: si parla e si discute liberamente, apertamente”». Nunnari conclude il suo lavoro con le più semplici e scontate delle domande: «la Dc si poteva salvare? Ed è morta per sempre?». Nunnari affida questo compito a Ciriaco De Mita che, nel 1997, rispondendo al giornalista Pasquale Nonno che lo intervistava, disse: «Non so se la Dc è morta. Certo come partito, con riferimento a molte cose negative, è finito e, si potrebbe dire, meno male che è finito. Però, io so che la Dc non è stata solo una storia di errori ma anche un’esperienza culturale straordinaria; so anche che essa rimane […]».

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