LAMEZIA TERME Fosse tutto così netto quello che accade, il bene e il male, il bello e il brutto, fosse così semplice sintetizzare i comportamenti con i codici alla mano, sarebbe in fondo persino semplice farsi un’idea, prima ancora che esprimere un giudizio. La vicenda di Fedez, figlio di un lucano emigrato a Rozzano, milanese per successo, internazionale per matrimonio, sventurato come non mai per un cancro a poco più di trent’anni, rissoso, scorretto, amato, detestato, politicizzato nella furia di posizioni antigovernative, finito nella trappola di amicizie ’ndranghetiste, cioè col peggio che c’è oggi in Italia sul mercato mafioso, è la fenomenologia dell’evoluzione di un melodramma nel quale, però, si stenta a capire quanto ci sia di consapevole dissoluzione della propria immagine. Si è affrettata Selvaggia Lucarelli, subito dopo la notizia degli arresti dei suoi amici ultrà e ’ndranghetisti, a pubblicare la foto di una puntata del podcast che conduceva il rapper – Muschio selvaggio – con il procuratore Nicola Gratteri. Di quel podcast è stata ospite mezza Italia, politici, giornalisti, scrittori, intellettuali. Non che Fedez mostrasse di avere particolari competenze, anzi, sono più le gaffes che ha accumulato e le ovvietà che ha detto che un qualche contenuto prodotto di cui si conserva mirabile memoria. Ma poiché il ragazzo era – ed è ancora – ben piazzato sui social, anzi benissimo, è stata una vetrina per tutti passare dal suo microfono che poi ha dovuto cedere a Luis Sal, ex socio vittorioso in tribunale.
Appena qualche ora prima della notizia degli arresti Fedez aveva inaugurato a Roma una casa di accoglienza all’interno di un villino confiscato alla criminalità organizzata finanziata dalla sua fondazione. Era accompagnato dal suo bodyguard, capo della curva sud del Milan Christian Rosiello. Un tempismo davvero increscioso, come la polemica decisamente fuori luogo con la politica alla presenza dell’assessore Zevi. Sì, un po’ se le va a cercare, salvo ammutolire il suo instagram quando le cose precipitano. Lo abbiamo visto piangere in ospedale quando si è ammalato, prendere l’ambrogino d’oro dal comune di Milano con Chiara Ferragni per la donazione dei ventilatori polmonari durante il Covid, scartare l’ormai ex moglie alle prime difficoltà del Bauli-gate, affondare ogni ritegno sui palchi e nell’ultimo dissing arcinoto con un altro campione di correttezza e buone maniere, quel Tony Effe che interrogato al riguardo sul senso del pudore – diciamo così – ha detto: è solo musica, è questa musica che faccio, chi non la conosce non può capire. Non la capiamo ma la seguiamo, è persino divertente, del resto se ne scriviamo (e leggiamo) e perché alzi la mano chi non ha mai fatto refresh per vedere osa succede nelle vite degli altri, possibilmente famosi.
Però ora attenzione. Passi per il gioco delle coppie, mogli, fidanzate e amanti che girano con in un valzer viennese. Forse persino la cresta sulla beneficenza nella quale nessuno ha mai creduto prima o poi la dimenticheremo. Sulla ’ndrangheta però no. Non basta la formuletta “non è indagato” per metterlo al riparo dalla fine di un rapporto di divertente distrazione. O forse no, perché in questo tempo difficile di guerra alle porte abbiamo bisogno di tanti Fedez per accantonare l’angoscia. E allora aspettiamo nuove puntate, trepidanti, anche se è una serie meno avvincente di quella Sangiuliano-Boccia o Pascale-Vannacci che pure promette bene. Indugiamo su tutto questo, perché l’alternativa sono le cronache da Tel Aviv. (redazione@corrierecal.it)
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