LOCRI «Noi se la nave entra di sera e non sale la finanza a bordo il lavoro lo facciamo appena entra». «Speriamo entra di sera. Voi ditemi la data dell’arrivo». «Più tardi vediamo se hanno aggiornato la lista e ci porta l’arrivo giusto». Accordi con messaggi inviati tramite sistema Sky Ecc: l’organizzazione delle importazioni, del trasporto e della distribuzione di sostanze stupefacenti è contenuta in chat di gruppo che permetteva agli indagati nell’ambito dell’inchiesta Eureka di comunicare, inviandosi informazioni e foto. L’inchiesta, scattata nel maggio 2023, ha visto la cooperazione delle Dda di Reggio Calabria, Milano e Genova, degli investigatori di Germania, Belgio e Portogallo e ha smantellato un’organizzazione transnazionale dedita al riciclaggio, al traffico di droga e armi in tutto il mondo, colpendo in particolare le cosche Nirta-Strangio di San Luca e Morabito di Africo.
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L’organizzazione di importazioni di ingenti quantitativi di cocaina, hashish e marijuana sono state oggetto dell’ultima udienza del processo che si sta celebrando presso il tribunale di Locri. Tra gli episodi esposti in aula dal maresciallo capo Nicola Minniti, contenuti in una informativa redatta dai Carabinieri, diversi vedono protagonisti Vincenzo Larosa, Giuseppe Ficara e Domenico Iannaci. Tra questi quello di un carico proveniente da Panama ed “esfiltrato” al Porto di Gioia Tauro attraverso un sistema ben collaudato e che, secondo quanto emerso dalle indagini, sarebbe stato messo in atto con l’aiuto di operatori portuali compiacenti che facevano la loro parte per aiutare il gruppo ad individuare i container ed eludere i controlli da parte della Guardia di Finanza.
In un’occasione in particolare nel dicembre 2019 nella chat in questione due utenti non identificati, uno di questi – viene rilevato nell’informativa – «molto probabilmente impiegato presso il porto di Gioia Tauro», «dialogavano sui vari dettagli e informazioni inerenti al “contenitore”, ovvero il container, in cui era stata occultata la sostanza stupefacente in questione, funzionali all’esfiltrazione del carico». Al gruppo era possibile quindi accedere ad informazioni riservate che avrebbero potuto aiutare la «squadra» a mettere a segno il colpo e portare a casa il «lavoro». «Per “lavoro” – è stato spiegato in aula – si intendeva l’esfiltrazione della cocaina, con il termine “squadra” si faceva invece riferimento agli operatori compiacenti ai quali venivano anche “commissionate” le modalità di occultamento dello stupefacente per eludere i controlli della Guardia di Finanza».
«Speriamo entra di sera. Voi ditemi la data dell’arrivo», è uno dei messaggi in cui si fa riferimento al carico di cocaina a bordo di una nave proveniente da Panama e di cui non si conosceva ancora la data di arrivo. E in chat emergevano diversi particolari sulle ispezioni che avrebbero potuto espletare in porto gli organi di controllo: la speranza era che il carico arrivasse di sera affinché la “squadra” potesse effettuare il “lavoro” appena la nave fosse approdata in porto, auspicando che non fossero saliti militari della Guardia di Finanza: «Noi se la nave entra, di sera e non sale la finanza a bordo il lavoro lo facciamo appena entra».
«Gooooolllllll», scrive Ficara il 14 dicembre 2019 ringraziando («Grazie compa’») e lasciando intendere che era stato raggiunto l’obbiettivo, ovvero l’esfiltrazione della droga, mentre in chat viene chiesta una foto della cocaina recuperata. Sul panetto fotografato e inviato via chat c’è una “X” i numeri “8” e “0”. «Marchi pressati sui panetti o disegnati sulle confezioni che indicano qualità e provenienza», è stato spiegato in aula. Su altri panetti dello stesso carico era raffigurata invece “la testa di un cavallo”. «Non può farsi a meno di notare – rilevano gli investigatori – come l’importazione si dovesse inserire, nelle stesse esplicite intenzioni dei narcotrafficanti captati, nel quadro di una lunga serie di operazioni ancora da organizzare: «Compa’ vedete che se volete mandate con noi nei lavori che sono messo bene in tutto il Sud America. Compa ora prepariamo uno che facciamo sentire il rumore». (m.ripolo@corrierecal.it)
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