È la mattina del 20 luglio del 2020. Gli inquirenti sono sulle tracce di Giuseppe Caminiti, il classe 1969 di Taurianova. Un campanello d’allarme si attiva perché quello che il calabrese sta raccontando, potrebbe aprire uno squarcio su un omicidio rimasto irrisolto da tantissimi anni. Quello di Fausto Borgioli, milanese classe 1942. L’omicidio risale alla sera del 19 ottobre del 1992 quando proprio Borgioli detto “Fabrizio” – considerato un esponente del gruppo criminale facente capo al defunto Francis Turatello, veniva ucciso, a colpi d’arma da fuoco, mentre si trovava per strada, in via Strozzi, nei pressi dell’ingresso dell’oratorio “Don Orione”, presso l’istituto Piccolo Cottolengo Don Orione.
Caminiti dai pm della Distrettuale antimafia di Milano è ritenuto «vicino a esponenti di spicco della ‘ndrina degli Staccu di San Luca» e sarebbe coinvolto nei business illeciti sulla gestione dei parcheggi dello stadio Meazza. L’uomo è stato raggiunto da un’ordinanza di custodia cautelare in carcere perché «gravemente indiziato». E sarebbe stato proprio lui a fornire nuovi importantissimi spunti investigativi. La pg lo ascolta mentre parla con un altro indagato nell’inchiesta sugli ultrà di Inter e Milan mentre “confessa” un episodio che definiva “danno” collegato, alla via Montegani a Milano. «(…) c’ha una storia importante fratello… la storia di ‘sta zona… questa mi ha sverginato a me sta zona qua! Lo sai?». E ancora: «Ho fatto danni eh».
Dopo questa intercettazione, a distanza di qualche mese, è il 27 gennaio 2021, sarà proprio Caminiti a chiarire quale era il “danno” a cui aveva fatto riferimento. L’uomo, secondo l’accusa, avrebbe confessato di essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio di un uomo che abitava in via Montegani 10 ed, effettivamente, Borgioli risultava essere residente in quella via. «(…) un giorno te lo racconterò… lì c’è una storia mica da ridere su quella via lì, sai?» «per me è stata una delle mie peggiori., situazioni… della mia vita…» «milanesi… clan di Turatello…». Come ricostruito dalla Dda di Milano e riportato dal gip nell’ordinanza, Giuseppe Caminiti «collocava temporalmente l’omicidio negli anni 1991 – 1992» quando era libero e prima del secondo arresto, avvenuto nel 1995. «(…) no non è una questione, no non è una rivalità… abbiamo scoperto che erano confidenti della polizia…».
Le indagini successive a quei fatti avevano già permesso all’epoca di individuare Caminiti come uno dei tre possibili soggetti calabresi vicini ad ambienti malavitosi e indagati per traffico di droga responsabile dell’omicidio ma gli elementi non erano stati sufficienti a sostenere l’accusa in aula. Fu, infatti, Giorgio Tocci, collaboratore di giustizia, ad aver fornito alcuni elementi importanti. «(…) poco prima di essere arrestato dovevo commettere un omicidio in danno di certo “Fabrizio” che io non conoscevo affatto… Papandrea, in ordine alle ragioni di questo omicidio, mi disse soltanto che “sospettava che fosse un confidente ed era pericoloso” (…) aveva comunque deciso di ammazzarlo… aveva accertato con sicurezza che Fabrizio era un informatore, e che quindi lo aveva fatto ammazzare…». E ancora: «…mi sarebbe stato indicato da Caminiti che doveva venire con me, sia per indicarmelo che “per imparare”… Papandrea mi disse che Caminiti aveva ammazzato questo Fabrizio… Papandrea era orgoglioso di Caminiti, e mi disse che in parte “il merito” era mio per il fatto che standomi vicino “si era svegliato”». (g.curcio@corrierecal.it)
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