LAMEZIA TERME L’inchiesta denominata “Reset” coordinata dalla Dda di Catanzaro ha disvelato, la rete di business illeciti perpetrati dalle cosche cosentine. A tratteggiare i contorni del modus operandi dei sodalizi bruzi è Giuseppe Montemurro (difeso dall’avvocato Capparelli), collaboratore di giustizia chiamato a testimoniare nel processo con rito ordinario in corso in aula bunker a Lamezia Terme dinanzi il tribunale di Cosenza. Pentito dal 2015, Montemurro avrebbe dovuto commettere due omicidi, incaricato dal clan Rango-Zingari e dal clan Muto. «Sono passato dagli “Italiani” agli “Zingari”», confessa subito il collaboratore. Che poi passa subito ad elencare le attività presenti nel curriculum criminale: estorsioni e sicurezza nei locali. Non si è mai occupato di traffico di droga, anche se ammette di aver «facilitato lo spaccio nelle discoteche». A Cosenza, in quegli anni, «c’era la bacinella comune, dalla quale si sottraevano le spese degli avvocati e le famiglie dei detenuti. Io consegnavo i soldi nelle mani di Maurizio Rango e di Francesco Patitucci». Secondo Montemurro, «ognuno aveva una zona di competenza ma da quello che ho capito era tutta una cosa, quando portavo i soldi, lo facevo sempre a Cosenza». Con Patitucci, pare abbia avuto un rapporto privilegiato, legato non solo alla realizzazione di attività illegali. «Quando c’è stato il concerto di Zucchero abbiamo chiesto 50 biglietti da distribuire ai figli dei componenti del gruppo».
La mala cosentina aveva le mani sulla movida, locali, eventi, servizi connessi e nessuno poteva osare di opporsi alla legge imposta dai clan. «Abbiamo sbaragliato la concorrenza insieme a Francesco Patitucci e Rinaldo Gentile, c’era un’altra agenzia nella zona ma si sono messi di parte e abbiamo dato vita ad una società unica: la mia», sottolinea Montemurro. Che aggiunge dettagli: «Avevo una agenzia di buttafuori, facevamo le estorsioni nelle feste, i locali dovevano darci i soldi e nelle feste programmate il danaro da consegnare aumentava. I buttafuori li sceglievamo pure noi, nessuno poteva opporsi, nemmeno sulla quantità e sul prezzo». Qualcuno ha tentato di escludere i clan, ma «gli abbiamo mandato i ragazzi a fare risse nei locali e hanno capito che dovevano servirsi di noi». E’ il caso di una serata al “Castello” quando i gruppi criminali avrebbero mandato «Carmine Caputo a picchiare una persona che non voleva più la sicurezza».
Nel 2013/2014 (il pentito non ricorda con precisione) i malandrini avrebbero avuto qualche problema a realizzare le feste a Rende. «Qualcuno del Comune ci metteva i bastoni fra le ruote». Un ostacolo poi aggirato grazie al presunto intervento del problem solver Massimo D’Ambrosio, pronto – secondo il collaboratore – a «farsi carico di sistemare le cose con i funzionari dell’Amministrazione rendese». Giuseppe Caputo e Carmine Caputo sono – invece – due nomi che il pentito cita spesso in merito alla gestione della security nei locali cosentini. «Giuseppe Caputo lavorava con noi al B-Side, ma aveva preso male la decisione di farsi da parte». Sempre sulla movida, ma questa volta con riferimento ai locali della costa tirrenica, Montemurro confessa l’esistenza di rapporti tesi con Roberto Porcaro «per quanto riguarda i locali di San Lucido».
Il pm Corrado Cubellotti chiede di approfondire e il pentito aggiunge: «Si stava formando un gruppo per prendersi i locali, ma quella zona era gestita dai fratelli Calabria che avevano dato la parola a Patitucci. Si sarebbero rivolti solo a noi e così fu». En passant, Montemurro cita un episodio, poi non approfondito, su un viaggio che avrebbero compiuto a Vibo «Giuseppe Esposito, Carmine Caputo e Francesco Patitucci per il Cosenza Calcio», nell’occasione Patitucci avrebbe ricevuto rassicurazioni in merito alla gestione del servizio steward allo stadio.
Dopo l’esperienza nel clan degli “Italiani”, Giuseppe Montemurro passa alla fazione degli “Zingari”. «Mi sono rivolto ad Antonio “Strusciatappine” quando è stato arrestato Maurizio Rango, mi hanno detto di parlare con lui per il posto da reggente che era di Cosimo Bevilacqua. Andavamo spesso a casa sua e parlavamo con lui di tutte le attività da compiere, dai locali alle estorsioni». Sui “Banana“, il collaboratore si limita a ricordare il loro “impegno” nello spaccio di droga.
Lei conosce Damiano Carelli? Chiede il pm. Montemurro risponde: «E’ uno dei boss di Corigliano, aveva una azienda nel 2010». E sulla figura di Agostino Briguori, invece, il pentito precisa di aver avuto la sensazione che fosse «un faccendiere dei Muto». Il pubblico ministero chiede lumi su Giuseppe Bartucci, un imprenditore considerato dall’accusa vicino agli uomini che fanno capo al clan gestito da Francesco Patitucci. «Portavamo le macchine da lui quando non andavano bene i cavalli di ritorno, smontavano le macchine e le facevano sparire. Ho portato da lui anche una mia macchina».
Montemurro avrebbe partecipato ad una serie di incontri e riunioni. Una «a casa di Roberto Porcaro», un’altra «nel locale “Blue Moon” con Francesco Patitucci», e «nell’autodemolizione di Francesco Casella». Ancora, il pentito ricorda di un incontro «sotto un ponte a Cetraro con Tonino detto “Banana” e Luigi Muto per rafforzare i rapporti sulla costa».
L’avvocato Nicola Carratelli inizia il controesame e si sofferma sulla posizione di Adolfo e Massimo D’Ambrosio. A chi erano vicini? «Avevano fatto una festa per Principe se non ricordo male, era una campagna elettorale» (Sandro Principe è stato assolto in primo grado al termine del processo scaturito dall’inchiesta denominata “Sistema Rende“. Assoluzione confermata per tutti gli imputati anche in Appello, ndr).
L’avvocata Amelia Ferrari chiede al teste conto della dichiarazione resa in merito alla costituzione di un nuovo gruppo criminale sul tirreno. «A gennaio 2015 ci tolsero la licenza per lavorare con i buttafuori nei locali, sapendo questo si stavano muovendo per ovviare». Ha mai visto Massimo D’Ambrosio in compagnia di persone del comune di Rende? «Siamo andati insieme con Massimo o Adolfo al Comune, c’era stato un problema e lo abbiamo anche risolto. Gli venivano fatte pressioni, minacciati per risolvere i problemi. Mi sembrava che questi del comune lavorassero per loro».
L’avvocato Valerio Murgano chiede se ci siano stati contatti telefonici con Massimo D’Ambrosio. «Si, ma non ricordo il periodo». In una di queste occasioni lo ha visto arrivare con una auto. «Non ricordo». Che tipo di feste si svolgevano a Rende? «C’erano varie feste, come il Motor Show organizzato da Adolfo D’Ambrosio sul quale c’erano stati problemi». Quale era il problema? «Sul Motor Show era stata negata qualche autorizzazione, non a lui direttamente perché non poteva occuparsene direttamente». E’ andato al Comune di Rende a fare cosa? «Siamo andati da un carissimo amico di Adolfo D’Ambrosio, c’era un intoppo burocratico ma non ricordo quale fosse e l’abbiamo risolto».
L’avvocato Vincenzo Belvedere chiede se fosse Montemurro a riscuotere i soldi di una estorsione ai danni del gestore di alcuni locali di Cosenza. «Mi diceva di parlare con qualcuno per chiedere una quota più bassa, facevo sicurezza e vigilanza in quel locale. La busta con i soldi la dava a me o a Maurizio Rango». Il gestore del locale aveva rapporti con il clan Lanzino? «Quando ha aperto il locale a Rende ho riferito che era prestanome di Ettore Lanzino».
L’avvocato Fiorella Bozzarello interviene per la posizione di Carmine Caputo. In che hanno è entrato formalmente nei contesti associativi? «Ho rifiutato il “battesimo”, mi era stato proposto da tutti, non ero un associato ma mi occupavo di estorsioni e sicurezza nei locali». Come conosce Carmine Caputo? «Lo conosco dal 2009, abitavamo a Rende nello steso palazzo». Non fa riferimento a Caputo nei verbali resi nel 2015 ai magistrati, poi si ricorda di lui? «Quando ho collaborato ho dato un elenco di nomi e foto, ho dato disponibilità a rispondere su tutti. Veniva usato per fare delle serate, lo chiamavamo quando qualcuno non pagava. Carmine Caputo ha incendiato una auto ad una persona». Il Cosenza Calcio doveva essere di Patitucci? «Il Cosenza non voleva darci il servizio di steward poi è intervenuto Patitucci e l’abbiamo ottenuto». Conosce l’agenzia XXL? «Non ho mai avuto niente a che fare».
L’avvocato Luca Acciardi chiede conto delle estorsioni svolte. Che avvenivano tramite l’imposizione della gestione della sicurezza nei locali. Perché dice che le hanno commissionato due omicidi se si occupava di estorsioni e non era associato? «E’ così».
Giuseppe Bartucci era un associato? «No».
(redazione@corrierecal.it)
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