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‘Ndrangheta a Vibo, le “origini” nel racconto dal pentito. «Nel carcere minorile li ho conosciuti tutti»

Interrogatorio di Renato Marziano del luglio 2024, coinvolto in “Porto Salvo”. «Divenni amico di Gaetano Comito, poi affiliato ai Mancuso»

Pubblicato il: 05/10/2024 – 10:36
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta a Vibo, le “origini” nel racconto dal pentito. «Nel carcere minorile li ho conosciuti tutti»

VIBO VALENTIA «Non provengo da una famiglia ricca, mio padre era un dipendente Telecom e mia madre una casalinga. Ci trasferimmo a Pizzo da Catanzaro per via del lavoro di mio padre quando avevo all’incirca 5 anni. Verso i 14 ho iniziato a frequentare ragazzi con i quali commettevo piccoli crimini, furti di biciclette, motorini, danneggiamenti ed altro genere di reati minori». «Io e i miei amici all’epoca riconoscevamo la figura di Manco, si trattava di un soggetto carismatico che, per conto dei Mancuso, comandava su Pizzo, Pizzo Marina e “la nazionale” e noi, in cambio di 5 o 10 mila lire, facevamo dispetti alia gente». È il racconto di Renato Marziano, vibonese classe ’67, collaboratore di giustizia il cui nome è presente nella conclusione indagini dell’inchiesta “Portosalvo” della Distrettuale antimafia di Catanzaro.

L’interrogatorio

Nell’interrogatorio reso il 9 luglio 2024, reso ai pm della Dda di Catanzaro Andrea Giuseppe Buzzelli, Marziano (assistito dall’avvocato Caterina De Luca) racconta la sua “carriera” criminale, ripercorrendo gli inizi, gli anni ’80. «Faccio riferimento a fatti verificatisi quanto avevo all’incirca 14-15 anni» racconta Marziano e «specifico che con questi soldi riuscivo a dare un contributo in casa, cosa che mi faceva sentire grande, senza che mi rendessi bene conto della gravità di quello che slavo facendo». «Il ruolo rivestito da questo Manco, per conto dei Mancuso, mi era stato riferito dal figlio Massimo, il quale aveva ricevuto la dote del camorrista, visibile dai punti tatuati sul palmo della sua mano, mentre il padre ricordo che aveva tatuato sul braccio sinistro l’asso di bastoni, sul destro l’asso di spade che indicavano una dote elevata. Specifico che all’epoca la caratura ‘ndranghetista e le doli si evidenziavano per mezzo dei tatuaggi».

Gli incontri nel carcere minorile 

Il racconto di Renato Marziano prosegue illustrando ulteriori dettagli. Il collaboratore di giustizia, in un ideale percorso, ricostruisce dunque la “genesi” della criminalità organizzata vibonese, citando nomi e personaggi il cui peso specifico verrà misurato negli anni a seguire. «Una volta arrestato e fatto ingresso nel carcere minorile è iniziata la mia vera carriera criminale. Lì ho conosciuto tutti i maggiori esponenti di quella che sarebbe poi stata la criminalità vibonese, tra i quali ricordo gente del calibro di Leone Soriano, Roberto Soriano, Nazzareno Castagna, Salvatore Lopreiato, Demetrio Amendola, Francesco Pezzulli, Francesco Lenti, Salvatore Dragone, Mario Aloi, Adolfo Emanuele, cugino di Bruno ed arrestato con Mario Aloi, chiamato “dito mozzo”, per un omicidio commesso nei boschi delle Serre. Ricordo anche Giacinto Fusto, uno di Lamezia Terme, con cui poi iniziai ad avere rapporti legati al traffico di cocaina, appartenente al clan dei Molinaro. Conobbi anche svariati zingari e tantissimi altri soggetti che ora non sto qui ad elencare».

L’incontro con Gaetano Comito

«Dopo un periodo di carcerazione, dai 15 ai 18 anni, verso i 18 anni e mezzo sono passato al regime della detenzione domiciliare, con un permesso per recarmi a lavorare presso una carrozzeria situata sulla nazionale di Pizzo», racconta ancora Marziano. «Qui – spiega – conobbi Gaetano Comito con il quale divenni molto amico e che iniziai a frequentare anche la sera, ricordo che gli regalai anche un alano gigante. Questo Comito, ad un certo punto, aprì un negozio di bilance, affettatrici, banconi frigo ed altro ed iniziammo a commettere insieme una serie di truffe consistenti nell’ordinare merce che poi pagavamo con assegni rubati, o con assegni senza copertura». «Mi occupavo dell’effettuazione degli ordini» ha raccontato il pentito «e, una volta che arrivava la merce, lui non si faceva trovare ed io, con dei blocchetti di assegni che questo mi procurava, firmavo al posto suo questi titoli scoperti, sui quali indicavo nomi di fantasia». (g.curcio@corrierecal.it)

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