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CREMA&AMAREZZA

I piccoli passi (forse troppo) del Catanzaro. Cosenza involuto, ma la squadra ha poche colpe

La Mantia salva (per il momento) Caserta, però i problemi restano. In casa rossoblù iniziano ad emergere i limiti della rosa, ora ultima

Pubblicato il: 07/10/2024 – 7:05
I piccoli passi (forse troppo) del Catanzaro. Cosenza involuto, ma la squadra ha poche colpe

Ottava giornata di campionato per niente brillante per Catanzaro e Cosenza. La Mantia riacciuffa il Modena in extremis e salva la panchina di Caserta. Male il Cosenza, sconfitto in casa dal Sudtirol. Ora la squadra rossoblù è ultima in classifica.

Catanzaro a piccoli passi (forse troppo piccoli)

Avanti a piccoli passi, forse troppo piccoli. L’ennesimo pareggio di questo avvio di stagione ci restituisce un Catanzaro ancora senza identità, una squadra ancora poco convinta e che accusa preoccupanti passaggi a vuoto.
L’aver cambiato ancora sistema di gioco in avvio, con il ritorno al 3-5-2, testimonia sicuramente l’opportunità che offre questa rosa di poter attuare soluzioni diverse, ma dall’altra certifica la mancanza di una chiara fisionomia di gioco per gli uomini di Fabio Caserta. Ancora privi di capitan Iemmello, infortunato, i giallorossi contro il Modena sono partiti con un buon piglio, non fallendo l’approccio come spesso era successo finora. Trovato il vantaggio con Situm, al cospetto di una squadra in emergenza a causa delle numerose assenze, il più sembrava fatto. Invece il gol del pareggio ospite ha riacceso dubbi e perplessità. Il Catanzaro ha accusato il colpo ed è rimasto negli spogliatoi dopo l’intervallo. I primi 20-25 minuti della ripresa sono da dimenticare e il vantaggio del Modena grida vendetta. Angolo per il Catanzaro, palla subito recuperata dal Modena che parte in contropiede e trafigge Pigliacelli. Nessun blocco fuori dall’area di rigore, preventive saltate e scarsa reattività. Sintomi evidenti di una squadra che non ha piena convinzione nei propri mezzi, quasi impaurita e ancora non consapevole di cosa deve fare.
Nonostante le parole del ds Polito in settimana («Caserta non è in discussione»), qualcuno comincia a chiedere la testa del tecnico, reo di non essere riuscito a dare un’identità ben definita ai suoi e di sacrificarne alcuni dei più rappresentativi in funzione di un sistema di gioco che fin qui non ha convinto.

Crema: la reazione finale delle aquile è l’aspetto da premiare. Il gran cuore mostrato nei minuti finali, la grande fame e voglia di non cedere l’intera posta in palio agli avversari. La squadra ha lottato, forse in maniera un po’ confusionaria e poco ordinata, ma l’ha fatto con lo spirito giusto, quello mancato per buona parte della gara. Cuore e grinta premiati dal gol di La Mantia. Un gol che tiene a galla il Catanzaro ed evita la terza sconfitta stagionale. Un gol che permette un ulteriore piccolo passo verso la salvezza e salva, almeno per il momento, la panchina di Caserta, di cui tanti chiedono già la testa.
Amarezza: se da salvare c’è la reazione, da condannare è sicuramente l’avvio di ripresa per la squadra giallorossa. L’ennesimo momento di blackout in questa prima fase della stagione che, come in altre occasioni, anche contro la formazione allenata da Bisoli si è verificato letale. Le aquile continuano ad accusarne troppi testimoniando poco carattere e personalità in campo. Il momento non è facile. Forse la sosta sarà utile a lavorare per limitare al minimo queste incertezze. L’amaro in bocca resta anche per le occasioni sprecate sin qui. Il calendario non era stato cattivo con le aquile regalando loro la possibilità di affrontare 3 delle 4 neopromosse nelle prime giornate e permettendo loro di sfidare in più occasioni formazioni in emergenza, come successo contro il Modena. Non averne approfittato è una colpa che si spera non pesi troppo sulla classifica giallorossa. (Stefania Scarfò)

L’involuzione del Cosenza e la malinconia dell’ultimo posto

Fino all’altro ieri abbiamo elogiato il Cosenza di Massimiliano Alvini. Merito del carattere, dell’intensità e della cattiveria agonistica con cui affrontava gli avversari mettendoli spesso e volentieri alle corde. Ma si sapeva benissimo che, messa fisiologicamente alle spalle quella fase di ritmi alti, spregiudicatezza giovanile e voglia di andare a tutti i costi oltre l’ostacolo (in cui, tra l’altro, si era ottenuto meno di quello che si era meritato), si sarebbe dovuto fare affidamento esclusivamente sulle qualità tecniche di cui questa rosa, bisogna ribadirlo ancora una volta, è provvista in forma ridotta. Nel senso che non mancano i bravi calciatori, molti di loro, però, sono alle prime esperienze nel torneo cadetto e hanno bisogno di tempo, tanto tempo, per risultare incisivi con continuità.
Nel corso della tragicomica estate da poco conclusa, il Cosenza è stato letteralmente stravolto, dallo staff dirigenziale fino all’ultimo degli attaccanti, e ha finito per indebolirsi non poco rispetto alla squadra che un anno fa si era salvata più o meno tranquillamente grazie ai 20 gol di Gennaro Tutino. Quei gol che oggi, mancano maledettamente, seppure in organico vi siano elementi di prospettiva. Nulla ancora è compromesso, sia chiaro, e non ci rimangiamo quanto di buono abbiamo detto sulla squadra fino a qui, ma, in attesa di conoscere il responso sul ricorso contro la penalizzazione di 4 punti (il verdetto arriverà venerdì 11 ottobre) l’ultimo solitario e malinconico posto in classifica inizia a preoccupare seriamente una piazza già provata da anni di sofferenze e maltrattamenti a oltranza da parte della propria società.

Crema: del gioco dei Lupi espresso ieri salviamo poco e niente. Anzi, quasi nulla. L’involuzione si era già notata al “San Nicola” di Bari, ma la superiorità numerica aveva aiutato ad evitare la sconfitta. Stavolta, con il Sudtirol a lungo in 10, il Cosenza è apparso fragile e incapace di rimettere in sesto la partita. Ma, come scritto sopra, era prevedibile e poche colpe hanno Alvini e i suoi volenterosi ragazzi che meritano solo applausi per quello che hanno dimostrato fin qui. I problemi nascono a monte.
Da salvare, nel grigio pomeriggio del “Marulla”, ci sono soltanto gli striscioni dei tifosi bruzi e bolzanini per ricordare Denis Bergamini e la sentenza nel processo sulla sua morte arrivata martedì scorso.
Amarezza: ciò che preoccupa maggiormente, ma, al contempo, stanca anche ripeterlo (perché lo diciamo da un’eternità), è il silenzio tombale – Champions League della serie B a parte – del presidente Eugenio Guarascio e del suo team tecnico su ciò che sta accadendo al calcio rossoblù dal giugno scorso. Le modifiche in ambito dirigenziale hanno portato pochi frutti, di certo nessuno per quanto riguarda la comunicazione. Ursino, a cui si deve il massimo rispetto per esperienza e carriera, resta non pervenuto. La sensazione è che la rivoluzione tecnica (al risparmio) voluta dal patron, non sia stata sorretta, tanto per cambiare, da una programmazione credibile e soprattutto comprensibile. Il -4 in classifica (che si spera possa trasformarsi almeno in un -2) ha fatto il resto. Ciò che è certo, ma lo si era capito già due mesi fa, è che questa sarà l’ennesima stagione in cui serviranno calma, sangue freddo e il solito irriducibile miracolo sportivo. (Francesco Veltri)

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