LAMEZIA TERME Un viaggio fino alle radici, quelle profonde, alle quali è ancorato saldamente il passato e il futuro della famiglia Bellocco, uno dei casati di ‘ndrangheta tra i più importanti e influenti, segnato dalla morte traumatica di uno dei rampolli di maggiore prospettiva, quel Totò Bellocco di 36 anni, ucciso poco più di un mese fa a Cernusco sul Naviglio da Andrea Beretta, amico e socio in affari e nella Curva Nord dell’Inter, reo confesso. I loro nomi, peraltro, si incrociano nell’inchiesta “Doppia Curva” della Dda di Milano che, nei giorni scorsi, ha portato all’arresto di 19 persone, svelando un’associazione a delinquere tra la Sud e la Nord di Milan e Inter, con contatti e relazioni con la ‘ndrangheta calabrese.
«Quel ragazzo della storia di Milano, degli ultras, giocava a pallone mi pare?» chiede un signore. «Era quello piccolino, era velocissimo lui, il più forte di tutti era». Parte da qui il servizio realizzato dal giornalista Enrico Lupino per “Lo stato delle Cose” andato in onda ieri sera su Rai3.
Prima tappa a Rosarno, allo stadio comunale. Qui, infatti, tutti conoscevano Totò Bellocco che ha calcato da giovane proprio il campo con la maglia della squadra locale. «Me che non era la Rosarnese, allora c’ero io quando è successo tutto il casino, la vergogna della vergogna». A parlare col giornalista è Domenico Varrà, altro nome molto noto da queste parti.
Era lui, infatti, l’ex presidente della Rosarnese finita nella bufera e nell’inchiesta “All inside” della Dda perché «governata dalla famiglia Pesce». «Mi deve credere» spiega al giornalista «non c’era un illecito, sono stato pure io in mezzo a questa situazione». Già perché nell’inchiesta – risalente al 2011 – era coinvolto proprio Varrà detto “il mister”, poi condannato. Dopo aver scontato la sua pena, Varrà è tornato a Rosarno 14 anni dopo con il ruolo di direttore sportivo dell’A.S.D. Virtus Rosarno. «Ogni 40 coinvolti qui da noi, 20 sono messi per numero perché interessa l’imprenditore, il politico, cioè la girano sul discorso del consenso sociale. Ma che c*** di ragionamento è?», chiede Varrà al collega di Rai 3.
Il calcio, dunque, come controllo del consenso soprattutto nelle serie minori dove, in certi contesti, il peso dei cognomi come Pesce e Bellocco, è ben impresso. «Mo è successa sta storia di questo ragazzo» osserva ancora Varrà «ma si è parlato più del discorso (la ‘ndrangheta ndr) che della morte. 21 coltellate, vedendo il filmato, quello lì è un agguato bello e buono». Il giornalista poi va a caccia di Ciccio “Testuni” Pesce, ma senza successo, prima di far tappa a San Ferdinando dove, peraltro, Antonio Bellocco è stato sepolto. Lupino si ritrova di fronte ad un cugino del rampollo defunto, che spiega subito: «Quello che succede qui è una cosa, quello che succede fuori è un’altra». Bellocco, con altri soggetti quali proprio Beretta e Ferdico, aveva messo in piedi un giro di affari illecito legato al mondo del tifo organizzato, superando anche la passione calcistica. «Io sapevo forse juventino – osserva il cugino – poi magari ha cambiato squadra, questo non lo so». (g.curcio@corrierecal.it)
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