COSENZA Non c’è alcun dubbio che Giuseppe Ursino sia un dirigente competente ed esperto come pochi in cadetteria. Così come va riconosciuto nel suo carattere tendenzialmente riservato, al limite della timidezza e lontano anni luce dalle croniche polemiche e dai gossip quotidiani che avvolgono il mondo pallonaro bruzio, un alto grado di autorevolezza. A confermarlo sulle pagine del nostro giornale è stato un bravo dirigente con cui l’ex deus ex machina del Crotone ha collaboratore proprio nella città pitagorica: Giuseppe Mangiarano.
«Ursino caratterialmente è abituato a incidere all’interno del gruppo squadra e non esternamente», che tradotto significa: è il numero uno nel riportare la quiete negli spogliatoi più tormentati o in crisi nera, mentre quando c’è da parlare con il popolo per tranquillizzarlo e chiarire eventuali anomalie societarie, preferisce fare un passo indietro.
Il punto è che da un direttore generale degno di tale nome, figura che a Cosenza mancava da tempo immemorabile, ci si aspetterebbe altro. E quell’altro riguarda proprio i rapporti con la piazza. Ursino, almeno sulla carta, non è stato chiamato da Eugenio Guarascio, dopo tre anni di corte spietata, per fare ciò che in carriera ha sempre fatto, e cioè il direttore sportivo (per quel ruolo è sbarcato il riva al Crati il giovane e “rampante” Gennaro Delvecchio, etichetta, quest’ultima, affibbiatagli dallo stesso Ursino).
Il suo compito sarebbe quello di non tenere troppo distanti, con presenza fissa e aggettivi azzeccati, una proprietà tradizionalmente incapace (oltre che disinteressata) di comunicare con qualità e il popolo che dovrebbe servire. Invece nulla di tutto ciò è mai avvenuto. Dalla sua presentazione in pompa magna alla città (giorno in cui Guarascio è riapparso in grande stile davanti alla stampa locale per annunciare il riscatto oneroso di un calciatore – Tutino – che aveva già deciso di non tenere in rosa), il Cosenza calcio ha vissuto fasi complicate e destabilizzanti per se stesso e per l’ambiente, sulle quali non si è mai ritenuto di dover dare una spiegazione. E così i malumori si sono mescolati ai risultati inizialmente sorprendenti dei ragazzi di Massimiliano Alvini: dal caso mancata iscrizione al torneo di C della squadra femminile, a quello Tutino (riscattato con l’intento di rivenderlo al doppio della cifra, per poi svenderlo), dall’ennesima ricostruzione della rosa tecnicamente ed economicamente ridimensionata rispetto a un anno fa, fino ad arrivare al deferimento della società per il mancato versamento delle ritenute Irpef e dei contributi Inps tramutatosi poi nella penalizzazione di 4 punti in classifica, confermata pochi giorni fa. E poi ancora la vicenda degli steward dello stadio non retribuiti da quasi un anno (hanno annunciato una manifestazione in piazza e il Cosenza calcio si è visto costretto a organizzare un nuovo incontro) e le voci, più che solide, su mancati pagamenti ai fornitori. A sommarsi a tutto ciò si è scoperto, un po’ casualmente e un po’ no, che Guarascio (ri-uscito allo scoperto di recente solo per parlare di Champions League della serie B) è stato interdetto dalla carica di presidente e al suo posto, come amministratore unico, agisce Rita Scalise.
Negli ultimi giorni in città, soprattutto nei pensieri degli ultimi romantici del mondo pallonaro cosentino, pare si stia facendo largo, nuovamente, la preoccupazione che qualcosa nelle stanze dei bottoni di via Degli Stadi e Lamezia Terme non giri come dovrebbe, e le parole rilasciate dal sindaco Franz Caruso («arrivano segnali preoccupanti di una situazione economico-finanziaria non brillante») al Quotidiano del Sud, hanno finito per inasprire la tensione. Anche se lo stesso primo cittadino in quell’intervista ha parlato di voci e non di certezze.
Ma che si tratti di chiacchiere da bar o di fatti concreti (come tutto il resto di cui sopra) che rischiano di affossare definitivamente e un’altra volta un settore socialmente determinante come il calcio, resta il fatto che nessun tesserato del Cosenza calcio al momento ha ritenuto opportuno fare chiarezza. E qui torniamo al punto di partenza, a quel Beppe Ursino che lo scorso giugno i sostenitori rossoblù avevano accolto dalle parti dello stadio “San Vito-Marulla” con applausi scroscianti e illusioni sui progetti futuri, avallate anche dalle sue parole ambiziose. Che l’uomo che ha portato il Crotone in serie A sia da sempre abituato a operare (molto bene) nell’ombra, oggi purtroppo vale poco. Da una figura del suo calibro, l’unica lì dentro, anche anagraficamente, a potersi permettere di parlare con criterio logico, titoli conquistati sul campo e onestà intellettuale di calcio, anche a costo di mandare a quel paese stampa e tifoseria, ci si aspetterebbe molto di più. Invece, la sensazione, è che il direttore generale più prestigioso dell’era guarasciana si sia adeguato all’andazzo generale, a quel silenzio snervante e a tratti provocatorio che da sempre pervade la società silana.
La domanda, quindi, è la seguente: perché, oltre che con i calciatori, per una volta l’ex Crotone non si decide a mattere da parte la sua elegante riservatezza e l’eventuale censura di chi gli paga lo stipendio e prova a raccontare, con la sincerità che lo ha sempre contraddistinto, ciò che sta accadendo? Cos’ha da perdere un uomo come lui? (f.veltri@corrierecal.it)
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