LAMEZIA TERME Un primo carico di 22 panetti, poi altri 28. Si tratta di cocaina nascosta dentro ai motori che alimentano la refrigerazione del container, un carico arrivato dal Sudamerica. Inizia dal porto di Gioia Tauro il reportage di PresaDiretta per ricostruire le dinamiche della “mafia del soldi” il cui core business non può che essere il narcotraffico, grazie al quale la ‘ndrangheta fattura miliardi di dollari. La “soffiata” ricevuta dagli uomini della Guardia di Finanza è un carico di droga proveniente dell’Ecuador.
«Era destinato a transhipments, vuol dire che qua ovviamente doveva imbarcarsi su un’altra nave per altre destinazioni. È un successo per noi, per la tutela della salute, per la tutela dell’economia, pensando anche all’enorme guadagno illecito che andrebbe reinvestito sui mercati legali», spiega il finanziere. La cocaina, una volta sequestrata, viene portata in un magazzino sicuro all’interno della caserma. Poi si passa alla verifica e una linea conferma la positività e una purezza al 90%. Poi i panetti vengono numerati e pesati ad uno ad uno. «Abbiamo quasi un chilo e due, quindi dovremmo essere su quasi 60 chili». Valore: 20 milioni di euro. Una cifra impressionante nonostante quello documentato sia uno dei sequestri più piccoli che la Guardia di finanza di Gioia Tauro ha realizzato.
«Nel 2022 e 2023 la Guardia di Finanza sequestrò circa 40 tonnellate di cocaina e secondo il questore di Reggio di allora i sequestri ammontavano circa il 20% di quello che in realtà passava. Per cui se qui sono stati sequestrati 40 tonnellate di cocaina in quei due anni ne sono passati almeno 160, 150. Quindi sono 600 milioni di dosi di cocaina che se li moltiplichi per 80 euro media a dose, esce una somma che è il doppio della finanziaria per esempio approvata dal governo italiano quest’anno, si aggira intorno a 48-49 miliardi di euro e importanti istituti di ricerca ci dicono che il valore complessivo dell’economia illegale prodotta dalle mafie arriva anche a superare i 150-160 miliardi di euro all’anno, poi riciclati attraverso i paradisi fiscali, attraverso meccanismi sofisticatissimi e si ripuliscono e tu compri tutto».
«C’è uno studio che ipotizza che il valore, solo il valore dei depositi bancari depositati nei paradisi fiscali riconducibile alle mafie italiane arriva a circa 3 mila miliardi di euro, significa più del debito pubblico italiano e questi sono numeri che non possono non farci riflettere». A parlare è Michele Albanese, giornalista finito sotto scorta nel 2014 dopo che un boss della piana di Gioia Tauro è stato intercettato mentre pianificava un attentato contro di lui. «Perché – si chiede – non si parla più di mafia in questo paese? Perché l’informazione delega questi temi solo ad alcuni coraggiosi colleghi che continuano ad occuparsi di queste cose? Occuparsi di queste cose significa salvaguardare l’economia legale del sistema Italia, significa occuparsi del futuro del sistema paese, del futuro della democrazia di questo paese, della libertà dei cittadini».
Un fiume di droga che genera miliardi di euro da rimettere nei circuiti legali e capaci di condizionare l’economia di interi Stati. «Noi abbiamo oggi una componente di ‘ndrangheta di rango molto elevato che ovviamente è diventato una sorta di holding che opera nel mercato mondiale degli stupefacenti», dice Giuseppe Lombardo, magistrato della DDA di Reggio Calabria. «È quello il momento in cui l’operatività della struttura criminale si trasforma per diventare ancora più insidiosa, per diventare un problema molto serio in grado di alterare gli equilibri di mercato e incidere anche sulle politiche economiche a livello mondiale, perché sono capitali prontamente spendibili che per forza di cose condizionano le regole». «A mio modo di vedere loro sono dotati di tutta una serie di analisti finanziari che individuano soprattutto ambiti ad altissima redditività. Può essere il mondo delle criptovalute? Assolutamente sì. L’immagine che ho della ‘ndrangheta, in questo momento, è proprio riferibile a un termine tipico delle criptovalute. Mi sembra una grande blockchain criminale che trasforma il crimine a livello mondiale in una sorta di macromafia» non più percepita come pericolosa visto che non si uccide più ma, osserva Lombardo, «è anche vero che quell’enorme disponibilità che oggi le grandi componenti mafiose hanno, può essere parificata ad un insieme di bombe finanziarie che vengono sganciate dai mercati, facendo probabilmente molti più danni».
Ed è proprio l’ultima inchiesta guidata da Giuseppe Lombardo ad aver messo in luce la strategia internazionale della ‘ndrangheta attraverso l’operazione “Eureka”, anche grazie alla decriptazione di migliaia di messaggi scambiati tra i mafiosi con i criptofonini gli investigatori hanno potuto ricostruire la rete di approvvigionamento delle famiglie di ‘ndrangheta e seguire decine di invii di cocaina per un totale di 6 tonnellate dal 2020 al 2022. L’indagine ha portato all’arresto di 108 persone solo in Italia e ha coinvolto 8 paesi, oltre all’Italia anche Belgio, Germania, Spagna, Portogallo, Francia, Romania e Slovenia.
Eureka ha ricostruito anche il ruolo del narcotraffico internazionale delle cosche dell’area ionica della Calabria che da San Luca e Africo hanno esteso la loro rete in tutto il mondo. «È una struttura unitaria che ha un’organizzazione ben precisa – spiega Massimiliano D’Angelantonio, comandante del secondo reparto operativo del servizio centrale del ROS – che ha delle regole certe, che ha delle strutture interne deputate a far sì che queste regole vengano seguite in maniera completa da tutti i suoi affiliati. In tutte le parti del mondo ha avuto capacità di riciclarsi e soprattutto di decentralizzare i suoi interessi in quei paesi dove magari c’è una maggior possibilità di aprire dei mercati sempre nuovi».
«Questi macro-aggregati criminali che ovviamente non hanno più territori, non hanno più confini, è una sorta di glocalizzazione mafiosa che diventa sistema globale, la ‘ndrangheta su questo punto di vista è particolarmente avanti perché ha capito che rimanere legata, mi verrebbe da dire imbrigliata all’interno di determinati territori tradizionali ovviamente era una limitazione eccessiva rispetto alla capacità criminale in grado di esprimere. Certamente non comandano i picciotti, non comandano neanche i generali che normalmente vengono identificati con i grandi capi, le logiche sono di rango molto più elevato, qui siamo a strutture criminali che oggi hanno logiche finanziarie, quindi, necessariamente bisogna andare a ricercare le linee di comando a un livello molto alto». «I centri di potere reale in cui ovviamente chi ha grandi disponibilità finanziarie tenta di interloquire e quell’interlocuzione deve essere impedita». (g.curcio@corrierecal.it)
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