Diceva Gigi Proietti: «Nella totale perdita di valori della gente, il teatro è un buon pozzo dove attingere».
In Calabria è tempo di nuovi teatri. A Crotone, dopo 22 anni di attesa, è stato inaugurato il teatro della città. È stato intitolato a “Vincenzo Scaramuzza” (Crotone, 19/6/1885 – Buenos Aires, 24/3/1968), pianista, compositore e insegnante italiano naturalizzato argentino. Qualcuno voleva intitolarlo all’attore Warner Bentivegna (Crotone, 18/7/1931 – Roma, 6/12/2008), ma poi ha prevalso la lirica sulla prosa. Per l’inaugurazione è stato scelto un concerto di Sergio Cammariere, altra gloria locale.
Quasi parallela è la vicenda del teatro comunale di Vibo Valentia, inaugurato all’inizio di quest’anno dopo 25 di attesa. Ma, a differenza di Crotone, il teatro di Vibo non ha ancora un nome. Da qui il malumore degli ambienti culturali cittadini.
Il teatro ha, da sempre, l’importante ruolo di luogo di aggregazione, di incontro e di scambi di pensiero. É simbolo dell’evoluzione sociale ed umana, avendo da sempre una funzione di crescita per le persone. Oltre ad essere un’attività ricreativa e divertente, è ormai ampiamente dimostrato come la recitazione incida attivamente sul nostro benessere psicologico. Già Freud riteneva che l’arte fosse un modo per soddisfare le nostre spinte pulsionali, attraverso il meccanismo di difesa della sublimazione.
Scrive Seesaw Project: «Antonin Artaud sosteneva che uno dei motivi che giustificavano la perdita di interesse verso il teatro da parte della società del suo tempo era il fatto che esso aveva smesso di rappresentarla. Il pubblico non riusciva più a riconoscersi nei miti raccontati sul palcoscenico. Occorreva quindi una rivoluzione».
L’idea di un nuovo teatro, partiva per Artaud dalla rottura con la dittatura della parola e del dialogo (e con essa anche dell’autoreferenzialità e dall’egocentrismo dell’uomo) a favore invece della pura “messa in scena”, concepita come l’incontro di più linguaggi: gesto, movimento, luce e parola. Un teatro integrale basato più su ciò che fisicamente avviene in scena, e non solo su quello che viene detto. Sulla presenza degli attori, sulla loro espressività, su ciò che il pubblico vede e percepisce.
Artaud continua il suo discorso sul rinnovamento dello spettacolo giungendo alla teorizzazione del Teatro della Crudeltà, inteso come un’esperienza mistica e totalizzante, che ha come scopo quello di scuotere e scombinare lo spettatore ottenendone la partecipazione incondizionata e di conseguenza l’alterazione del suo essere e del suo approccio al mondo. Un teatro profondamente sconvolgente, come una operazione chirurgica, al termine della quale non si è più gli stessi di prima.
Un teatro insomma che non sia solo spettacolo, ma cura. Un teatro utile ed efficace. Tale idea di messa in scena era già ben presente al tempo degli antichi greci, dai quali infatti, Artaud recupera il termine Catarsi, ovvero purificazione. Si va a teatro per migliorarsi.
Molti anni dopo anche un altro autore parlerà di Catarsi: l’artista belga Jan Fabre (1958), il quale identifica la Catarsi come strumento tramite cui far avvenire il miglioramento di sé nell’interprete sulla scena.
Secondo Jan Fabre, il primo a raggiungere il superamento dei propri limiti è l’attore, che lui chiama “Guerriero della bellezza”. L’attore è colui che porta sul palco le proprie battaglie di vita, mostrando al mondo le proprie debolezze, stranezze e difficoltà, sviscerandole senza vergogna.
La messa in scena di tale ricerca del miglioramento di sé stesso porta chi lo guarda a desiderare quello sforzo e in qualche modo a ricercarlo nella sua vita privata […]».
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