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La ‘ndrangheta e la “mafia del Gargano”: gli affari in Piemonte, la droga (e le armi) per i Pesce-Bellocco

Gli elementi emersi dall’inchiesta della Dda di Bari. Dai Palaia al “Presidente” e il racconto di alcuni pentiti. «Avevano contatti con i Rosarnesi a Torino per la marijuana»

Pubblicato il: 16/10/2024 – 19:02
di Giorgio Curcio
La ‘ndrangheta e la “mafia del Gargano”: gli affari in Piemonte, la droga (e le armi) per i Pesce-Bellocco

LAMEZIA TERME «Loro avevano il monopolio di sbarco di erba sul Gargano. Tutti gli sbarchi di erba li comandavano loro. Dall’Albania, avevano contatti con albanesi. Con i calabresi dove la vendevano a Roma dove la portavano». Il racconto è quello fornito ai pm da Andrea Quitadamo, collaboratore di giustizia dal 30 gennaio 2022, dopo aver motivato la sua scelta per la «volontà di cambiare vita per sé e per la sua famiglia». Nel corso del percorso collaborativo ha fornito dichiarazioni di assoluta rilevanza, utili anche a definire gli assetti della intera consorteria criminale di appartenenza, riporta dal gip Valeria Isabella Valenzi nell’ordinanza che ha portato all’arresto di 39 soggetti legati alla mafia nel Gargano. È lui, tra l’altro, ad aver fornito i nomi degli associati, nonché a delineare le alleanze con le altre consorterie della provincia foggiana, «ampiamente riscontrate dalle risultanze delle indagini» annota il gip. 

I pentiti

Altro elemento di interesse investigativo è poi Andrea Romano che, come riporta il gip, «sarebbe intraneo alla criminalità organizzata operante a Brindisi» dotato del grado «di “crociata” rilasciato dai calabresi» nella famiglia Romano-Coffa, frangia della Sacra Corona Unita. Anche lui, nel 2020, ha iniziato a collaborare con la giustizia. Ma c’è soprattutto un recentissimo collaboratore di giustizia ad aver fornito dichiarazioni chiave nell’inchiesta della Dda di Bari. Si tratta di Marco Raduano, il cui percorso è iniziato il 15 marzo 2024, per il gip «unico collaboratore che ha fatto parte della consorteria investigata». Quando il pm gli chiede di eventuali rapporti tra Miucci con altre consorterie, il pentito spiega: «Aveva contatti con calabresi stanziati a Torino ed appartenenti alla famiglia Pesce-Bellocco, con i quali aveva rapporti per la marijuana. Con loro aveva un telefono dedicato». Il riferimento è alla figura di Enzo Miucci (cl. ’83), finito in carcere.

Il “presidente”

Gli inquirenti chiamano in causa, poi, Luca Fedele. Classe 1982 di Torino – non indagato in questa inchiesta – risulta «gravato da gravi pregiudizi di polizia per reati contro la persona» annota il gip nell’ordinanza. Il fratello, inoltre, Alessandro Daniele, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco nel 2010. Noto come “il Presidente”, secondo le risultanze investigative «sarebbe il referente dei Pesce-Bellocco in Piemonte» ed è a lui che, Benito Palaia, si rivolgeva con una sorta di sudditanza. Fedele – condannato in primo grado nel processo “Handover” a 12 anni – in appello ha visto ridursi la pena a 3 anni con la cessazione della misura cautelare, quindi è tornato in libertà.
Ulteriori elementi che, per la Dda di Bari e come riportato dal gip nell’ordinanza, testimonierebbero i legami dei clan del Gargano con le ‘ndrine calabresi c’è una missiva, risalente al 2020, indirizzata a Enzo Miucci, all’epoca detenuto a Terni. Carissimo fratello mio ciao, (…) ho ricevuto la tua cara lettera ed ha riempito il mio cuore di gioia leggerti. (…) Per quanto riguarda i saluti tuoi per mio fratello già te li ricambio con bene fraterno, perché anche lui ci tiene a te quanto me. Poi come gli scriverò gli darò anche i saluti del calabrese che mi hai scritto e che stava con lui a Torino. Ricambia. Grazie! (…)».

La droga e le armi per i rosarnesi

C’è, poi, un altro nome ricorrente finito nel mirino degli inquirenti della Distrettuale di Bari. Si tratta di Giulio Guerra (cl. ’89), già coinvolto nell’inchiesta “Friends”. Secondo l’accusa, Guerra sarebbe «inserito nel clan Li Bergolis, con il compito di supportare il sodalizio nel traffico di droga e nel traffico di armi, interfacciandosi anche con gli esponenti della ‘ndrangheta rosarnese». Oltre ad essere riconducibile all’omonima famiglia di Monte Sant’Angelo, Guerra «avrebbe interagito con esponenti delle ‘ndrine calabresi quali Fortunato e Benito Palaia, rispettivamente capo e affiliato alla ‘ndrina dei “Pesce-Bellocco”, operativa sia sul fronte piemontese». Guerra, inoltre, avrebbe «supportato il sodalizio mafioso in occasione dell’episodio del 3 ottobre 2016, in cui l’organizzazione garganica, da un lato, forniva eroina ai calabresi mentre dall’altro riceveva da questi ultimi delle armi», riporta il gip. Poi, dopo il sequestro di armi avvenuto il 5 novembre 2016, Matteo Pettinicchio (cl. ’85) – finito in carcere – avrebbe incaricato la compagna di «informare i fornitori calabresi dell’avvenuto sequestro delle armi cedute ai Li Bergolis, nonché di comunicare a Giulio Guerra l’ordine di recarsi dai rosarnesi per aggiornarli di persona dell’accaduto», annota ancora il gip nell’ordinanza. Il 21 dicembre dello stesso anno, proprio Giulio Guerra, accompagnato da Libero Lombani, si sarebbe «recato in provincia di Cosenza per incontrare “de visu” i rappresentanti della ‘ndrina di Rosarno per discutere proprio in ordine al sequestro delle armi fornite dai calabresi ai garganici», annota ancora il gip. (g.curcio@corrierecal.it)

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