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Lomonaco: «Abbiamo costruito la giustizia intorno a Caino, ma Abele che fine fa?»

Le parole del Garante regionale per la tutela delle vittime di reato a L’altro Corriere Tv sulla giustizia riparativa

Pubblicato il: 17/10/2024 – 6:33
Lomonaco: «Abbiamo costruito la giustizia intorno a Caino, ma Abele che fine fa?»

LAMEZIA TERME Si è occupata di giustizia riparativa l’ultima puntata di “Supplemento d’indagine”, programma condotto da Danilo Monteleone in onda ieri sera su L’altro Corriere Tv (Canale 75). A discutere di un argomento ancora poco conosciuto dal grande pubblico, è stato l’avvocato Antonio Lomonaco, Garante della Regione Calabria per la tutela delle vittime di reato. «La giustizia riparativa – ha spiegato Lomonaco – è quel programma che si occupa del risanamento del legame tra le vittime, i colpevoli e soprattutto la comunità. Tra i suoi obiettivi c’è ovviamente la riparazione del danno, la riconciliazione tra le parti e il rafforzamento del senso di giustizia. Questo in sintesi è quello che è il programma di giustizia riparativa. Ovviamente perché tutto possa funzionare, occorre che ci sia una figura essenziale, cioè il mediatore».

«Abbiamo costruito la giustizia intorno a Caino, ma Abele che fine fa?»

La riparazione è sempre stata indicata come derivante dalla pena: si consuma un reato, viene individuato il responsabile e fino a un determinato momento la riparazione del torto subìto coincide con una sentenza di condanna. «Dal punto di vista della percezione è così – ha chiarito Lomonaco – però questo, ad esempio, era già previsto dal codice di procedura penale. Prima dell’apertura del processo, l’indagato o l’imputato aveva la possibilità anche di avanzare un’offerta reale alla vittima di reato senza necessariamente doversi attribuire la responsabilità del fatto. Se poi successivamente dovesse essere condannato, se verrà condannato, quell’offerta reale potrebbe avere un peso rispetto a quella che è poi la commisurazione della pena, eventualmente con uno sconto. Quindi – ha continuato Lomonaco – c’erano già degli strumenti. Il percorso della giustizia riparativa è più complesso, perché mentre l’offerta reale io la potevo recapitare tramite l’ufficiale giudiziario, in questo caso invece il giudice valuta e invita le parti, l’autore del reato e la vittima, a dialogare davanti a un mediatore. Per altro, può anche essere attivata questa procedura o su richiesta dell’indagato, dell’imputato o su richiesta proprio della vittima».
Ma cosa accade quando la vittima non vuole partecipare a questo programma di giustizia riparativa? «Il punto è che bisogna mettere al centro la vittima – ha affermato Lomonaco –. Abbiamo costruito la giustizia intorno a Caino, ma Abele che fine fa? Basta prendere il codice di procedura penale, il codice di diritto. Ci sono oltre 700 articoli. Facendo una ricerca velocissima su queste applicazioni, la parola vittima appare solo quattro volte. L’ultima è stata inserita da poco grazie all’articolo 129 bis previsto dalla Cartabia che riguarda la giustizia riparativa. Quindi è evidente che c’è uno squilibrio. Anche dal punto di vista del nostro codice, il tutto è incentrato sull’indagato e, mi viene da dire, menomale, perché stiamo parlando di garanzie dalle quali noi non possiamo arretrare di un solo millimetro. Però la vittima che fine fa?».

Il ruolo del mediatore

Ma cosa deve fare nello specifico il mediatore? «Come dice la stessa parola – ha detto Lomonaco – deve mediare tra le parti e trovare un punto d’incontro. Dunque, deve risanare quella frattura che il reato aveva determinato tra le due parti».Per far comprendere meglio la questione, il Garante della Regione Calabria per la tutela delle vittime di reato ha ricordato il caso milanese di Davide Fontana che aveva ucciso la vicina di casa. «La Corte di Assise di Busto Arsizio – ha rivelato – aveva mandato l’autore del reato a questa mediazione. Si è rivelato infruttuoso e l’autore del reato è stato condannato alla pena di 30 anni. Cosa poi deve avvenire su quel tavolo di confronto onestamente non è dato saperlo. Lo si leggerà tramite la relazione che il mediatore invierà all’autorità giudiziaria. Ciò che è certo è che i mediatori sono delle figure molto importanti, necessarie, che devono essere preparate per questi percorsi, e iscritte negli albi. Dalla loro preparazione deriverà la riuscita vera di questo programma di giustizia riparativa». Ma su cosa si fonda il percorso di mediazione? «Sicuramente – ha rivelato Lomonaco – c’è un percorso di ravvedimento. Ma come faccio io, presunto autore del reato, a far verbalizzare al mediatore che sono pentito dell’azione che ho commesso, ben sapendo che ove la vittima del reato non accolga questa proposta di mediazione, poi quelle dichiarazioni confluiranno nel fascicolo dell’autorità giudiziaria che dovrà decidere sulla mia condotta? È questa la contraddizione, il pericolo da parte dell’indagato o dell’imputato di accedere a questa giustizia riparativa. Prendiamo, invece, il caso in cui il presunto autore del reato accede al programma di giustizia riparativa e dice di non aver commesso il reato. In questo caso che effetti positivi può avere? Credo che ci sia una doppia vittimizzazione, nel senso che la vittima viene o potrebbe essere umiliata due volte». Un meccanismo, quindi, che sembra ancora da mettere a punto. «Sicuramente – ha chiarito Lomonaco – bisogna partire, questo è un dato, poi dopo un periodo di prova, bisognerà capire quelle che sono le criticità e dove il legislatore potrà intervenire per rimuoverle».

La giustizia riparativa nel percorso processuale

La richiesta di giustizia riparativa può essere fatta dalla vittima, dal presunto autore e può anche essere disposta ad ufficio. Nel caso dovesse avere esito positivo, che effetto ha nel percorso processuale? «Partiamo dal primo effetto della giustizia riparativa – ha affermato Lomonaco – pensando ad esempio alla vittima di stalking o a tutte quelle di reati di genere. Se si riesce a trovare un punto di incontro con l’autore del reato, a me vittima, di quello che farai tu nel processo penale, interessa poco, perché io ho raggiunto il mio obiettivo, così come lo ha raggiunto lo Stato sociale. L’indagato o l’imputato, avrà certamente diritto dei benefici nel processo penale che deriveranno da quel percorso di giustizia riparativa conclusosi positivamente. Non dimentichiamo che la giustizia riparativa ha un ruolo incidentale rispetto al processo ordinario. Il processo ordinario andrà comunque avanti, seguirà comunque le sue regole».

La vittima surrogata

Ma la giustizia riparativa può essere applicata per tutti i tipi di reati? Che succede con i delitti più efferati? «Io credo che il legislatore abbia pensato a questa ipotesi – ha dichiarato Lomonaco – attraverso la vittima surrogata. Mi spiego: se tu vittima diretta del reato non intendi partecipare al programma di giustizia riparativa, in linea teorica il mediatore potrebbe chiamare un’altra vittima dello stesso genere di reato non direttamente collegato al presunto autore che si siede accanto a quel tavolo, tutto ciò sempre ragionando in un’ottica di garanzia. Ma qui si pone un problema forse anche etico. Possiamo delegare ad una vittima surrogata la facoltà di perdonare in nome e per conto della vittima di quel reato commesso? A me sembra un’assurdità. Può darsi che in questo percorso di giustizia riparativa entrambi possano trovare sollievo».

Il ruolo del Garante regionale per la tutela delle vittime di reato

La giustizia riparativa, che da un punto di vista morale e sociale ha un valore straordinario sia per la vittima che per l’autore del reato, può diventare un modo per avere un risultato immediato e veloce rispetto a processi che a volte si trascinano per tanti anni? «Noi – ha replicato Lomonaco – chiediamo a una giustizia che sappiamo essere lenta di voler definire con un programma magari di due, tre, quattro mesi, quello che non si è riuscito a fare in anni. È proprio questa la difficoltà, nella pratica, nell’attuazione di questa giustizia riparativa».
Ma come si pone la figura del Garante regionale per la tutela delle vittime di reato rispetto alla richiesta delle vittime di reato? «Il Garante per la tutela delle vittime di reato è di nuova istituzione, normata dalla Regione Calabria su direttiva dell’Unione Europea. Conosciamo tutti la direttiva vittime del 2012 che ha detto agli Stati membri di mettere al centro la vittima. La Regione Calabria, e lo dico con orgoglio, è una delle poche regioni che ha istituito l’ufficio del garante tutela delle vittime di reato. Abbiamo dimostrato innanzitutto di essere più avanti rispetto allo Stato centrale. Qual è la funzione del garante?  Semplice, fornisce assistenza e tutela alle vittime vulnerabili, ce lo dice il codice di procedura penale. La vittima può rivolgersi all’ufficio del garante attraverso una semplicissima segnalazione via posta elettronica, via e-mail, via raccomandata all’ufficio. Per altro è facilmente accessibile perché basta andare sul sito del Consiglio regionale e mandare una segnalazione. A quel punto l’ufficio lavorerà alla pratica, se rientrerà in quelle che sono le funzioni del garante, troverà assistenza e sostegno da parte del garante. In che modo? La prima cosa che ho fatto è quella di censire quelli che sono i soggetti, gli organismi che operano sul territorio a favore e a tutela delle vittime di reato. Perché alla fine l’ufficio del garante ha un ruolo di promozione di quelli che sono i servizi presenti sul territorio. Io posso instradare la vittima, aprire quel percorso che prevede lo Stato che servirà alla vittima per ristabilirsi nella società». (redazione@corrierecal.it)

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