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processo “propaggine”

A Roma, Milano e Torino i grandi business della ‘ndrangheta. «Nelle grosse città si ripuliscono fiumi di denaro»

Il collaboratore Belnome: «Nella Capitale ramificazioni nelle periferie, i grossi centri “aperti” anche a mafiosi e camorristi»

Pubblicato il: 18/10/2024 – 13:37
di Mariateresa Ripolo
A Roma, Milano e Torino i grandi business della ‘ndrangheta. «Nelle grosse città si ripuliscono fiumi di denaro»

ROMA Ramificazioni nelle periferie, “locali” non solo ad Anzio e Nettuno, un centro “libero” dal comando assoluto di una sola organizzazione mafiosa. Gli affari devono girare per tutti: «Roma centro è “aperta” perché ci sono ‘ndranghetisti, Cosa nostra e camorristi. Stessa cosa per Milano e Torino». A fare un racconto dettagliato di quelli che sono gli interessi e le regole della ‘ndrangheta non solo in Calabria, ma in tutta Italia, è Antonino Belnome, classe ‘72, diventato collaboratore di giustizia tra il 2010 e il 2011, ascoltato nell’ambito del processo “Propaggine” in corso a Roma, scaturito dall’operazione che ha fatto luce sugli interessi della ‘ndrangheta nella Capitale e che vede alla sbarra esponenti della cosca Alvaro. L’inchiesta, scattata nel 2022 ha permesso di ricostruire le dinamiche criminali intorno alla cosca attiva a Sinopoli, Cosoleto e San Procopio e alla prima “locale” attiva a Roma, ad Anzio e Nettuno, che operava nella Capitale dopo avere ottenuto l’investitura ufficiale dalla casa madre in Calabria. «Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto», dicevano in un’intercettazione gli indagati. L’organizzazione era guidata da una “diarchia”; un sodalizio mafioso con al vertice Vincenzo Alvaro e Antonio Carzo, entrambi appartenenti a storiche famiglie di ‘ndrangheta originarie della provincia reggina.

Il racconto di Belnome: dall’omicidio Novella al pentimento

Una carriera costellata da “successi” criminali quella di Belnome, che li definisce «meriti» che lo avrebbero portato in pochissimo tempo a ricoprire le cariche più alte in ambito ‘ndranghetistico. Rispondendo alle domande del pubblico ministero Giovanni Musarò, Belnome, originario di Guardavalle, nel Catanzarese, e legato alla famiglia Tedesco, ha raccontato della sua entrata nell’organizzazione criminale: «C’erano progetti importanti su di me da parte della Calabria. Avrei dovuto comandare la locale di Giussano, i miei sponsor principali erano Andrea Ruga e Vincenzo Gallace». In carcere in quanto accusato di essere stato l’esecutore materiale dell’omicidio di Carmelo Novella, componente apicale della ‘ndrangheta di Guardavalle che si era trasferito in Lombardia, dove venne ucciso nel Legnanese nel 2008, Belnome deciderà poi di iniziare il percorso di collaborazione: «Ho avuto modo di riflettere, quando sei in un ambito ‘ndranghetistico sei risucchiato. Non volevo decidere per i miei figli e costringerli ad una vita di inferno. Ho capito da dentro lo sbaglio che stavo commettendo», ha detto.

Le doti e le mangiate di ‘ndrangheta

«Le doti vengono date esclusivamente per riconoscimenti e meriti, nella ‘ndrangheta non ti regala niente nessuno. Devi andare parecchie volte all’inferno e tornare indietro. Con parecchi omicidi eclatanti e scie di sangue», ha detto il collaboratore di giustizia, a cui è stata conferita la dote di “padrino”, parlando della vita all’interno dell’organizzazione criminale. Una vita alla quale non si può dire addio: «Si può uscire dalla ‘ndrangheta?», ha chiesto il pm. «Assolutamente no, – la risposta di Belnome – solo in casi eccezionali, in casi di problemi familiari e di salute (il buonordine), ma in caso di necessità si deve essere sempre a disposizione perché dalla ‘ndrangheta non si esce mai, a meno che non si venga “tralasciati” o “spogliati”, e allora si esce con i piedi in avanti, cioè la morte».
Dalle doti alle cosiddette mangiate, veri e propri summit durante i quali si conferiscono doti, vengono prese decisioni importanti e ci si confronta sull’andamento degli affari: «La ‘ndrangheta è tutta una regola, chi comanda si siede come capotavola, ci si siede in base alle doti. Il capotavola libera la tavola, ci si può alzare solo dopo di lui».


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Il “locale” ad Anzio e Nettuno

«Quando la ‘ndrangheta ramifica in un paese o più paesi viene denominato “locale”, e lo si può aprire solo ed esclusivamente se c’è una caserma dei carabinieri o una questura perché è un corpo rivale dello Stato», ha spiegato Belnome, che sul punto ha aggiunto: «La ‘ndrangheta è la Calabria. Tutto ciò che accade fuori è legato con un cordone ombelicale al paese d’origine, si lavora in simbiosi, ci si confronta a 360 gradi. Se non c’è questo legame il locale è debole». Il collaboratore ha poi dichiarato di essersi recato intorno al 2006-2007 ad Anzio e Nettuno dove «esisteva un locale di ‘ndrangheta. Era un distaccamento, c’erano parecchi componenti di Guardavalle: i Tedesco, i Gallace, i Perronace. Il capo locale – ha specificato – non era di Guardavalle, si chiamava compare Giacomo». Nel locale di Anzio – ha detto inoltre Belnome – «si svolgevano attività illecite, parliamo di ‘ndrangheta: trafficavano in cocaina. Operavano anche con il consenso delle famiglie di Guardavalle molto molto influenti».

«Nelle grosse città si ripuliscono fiumi di denaro»

Ma quella di Anzio e Nettuno non sarebbe l’unico “locale” di ‘ndrangheta nel Lazio, così come in altre regioni e grandi città: «A Roma esistono altri locali di ‘ndrangheta oltre Anzio e Nettuno. La ‘ndrangheta è tutta ramificata nelle periferie. Roma è “aperta” perché ci sono ‘ndranghetisti, Cosa nostra e camorristi. I grossi centri sono liberi perché nessuno può comandare sugli altri, partecipano tutti. Stessa cosa per Milano e Torino. Gli ‘ndranghetisti – ha detto Belnome al pm – sono ovunque, li trova anche all’estero, tra le maggiori attività ci sono il riciclo e il ripulire il denaro con attività imprenditoriali, bar, edilizia. Tutti investimenti per ripulire soldi con prestanomi, perché entrando fiumi di denaro con la cocaina e con le estorsioni, vanno ripuliti i soldi. Non è che ogni volta si posso interrare i soldi. Il business principale è ripulire i soldi e questo si fa nelle grosse città. A Roma, Torino, Milano ci sono i grandi business». (m.ripolo@corrierecal.it)

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