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‘Ndrangheta al Meazza, le mire sulla Sud del Milan e il “confronto” tra San Luca e Platì

Le ambizioni sull’anello blu di San Siro, la linea dettata da Calabrò e la voglia di scansare la coppia Lucci-Lombardi. «Sono 12 anni che combatto, vengo e ti prendo»

Pubblicato il: 18/10/2024 – 18:39
di Giorgio Curcio
‘Ndrangheta al Meazza, le mire sulla Sud del Milan e il “confronto” tra San Luca e Platì

LAMEZIA TERME Una spirale di aggressioni e violenze, seguendo un modus operandi collaudato con un unico obiettivo: quello di mantenere la supremazia nella Curva Sud del Milan allo stadio Meazza, ormai conquistata nel 2016 con l’allontanamento dei “Commandos Tigre”. Una dinamica caratterizzata da aggressioni e imboscate contro tifosi della stessa squadra e che, quindi, poco hanno a che fare con il tifo. Un dato cristallizzato nella recente inchiesta “Doppia Curva” della Dda di Milano ma, in realtà, già emerso in altre inchieste precedenti, inclusa un’informativa della Digos che ben aveva ricostruito il quadro inquietante che circondava il campo di calcio dello Stadio San Siro, con l’ombra sempre più ingombrante della ‘ndrangheta calabrese, come emerso nel fermo emesso nei confronti di Daniele Cataldo (cl. ’72), considerato il responsabile del tentato omicidio di Enzo Anghinelli avvenuto nel 2019.

I piani nel 2018

Occhi puntati sulla stagione calcistica 2018/2019: a giugno 2018 scatta l’arresto del capo ultrà del Milan, Luca Lucci (poi condannato), lasciando spazio al fratello Francesco. Come ricostruito dagli inquirenti, però, l’assenza di Luca Lucci «rafforzò le ambizioni di Giancarlo Lombardi e dell’emergente gruppo “Black Devil” di Domenico Vottari». Secondo le risultanze investigative, «il progetto finale, in linea teorica, poteva essere quello di spodestare Luca Lucci e il suo gruppo e proporre in Curva nuovi gruppi egemoni (gruppo “Black Devil” – gruppo “Commandos Tigre”)». I primi segnali arrivano ad aprile 2018 quando gli inquirenti, intercettando l’utenza di un soggetto non indagato, captano una conversazione avvenuta durante un incontro con Domenico Vottari, manifestando l’intenzione di «“acquisire”, anche con l’uso della forza, la gestione di alcuni spazi della curva Sud dello stadio Giuseppe Meazza di Milano rilevandone, di conseguenza, il remunerativo business legato alle gestione della tifoseria della squadra di calcio dell’A.C. Milan», annota i pm nel fermo.

La “linea Calabrò”

All’incontro, peraltro, prende parte un nome di spicco della ‘ndrangheta calabrese al Nord e nell’hinterland milanese: Giuseppe Calabrò noto anche come “U dutturicchiu”. Secondo gli inquirenti sarebbe stato proprio lui a “dettare la linea”, «disponendo anche l’inserimento del fidato Giuseppe Campisi» annotano ancora i pm. «(…) Vedete di collaborare… Capisci! (…) la cosa… Ma va fatta seria! (…) quello che possiamo prendere oggi per il domani… hai capito?». «(…) vedete che non è una brutta idea… quella del calcio», a parlare è proprio Calabrò, suscitando la replica di Vottari: «(…) il gruppo è mio creato da me… il mondo del calcio è una cosa a parte… ci sono soldi a palate!». Il piano ideato dal gruppo e, in particolare da Vottari, era quello di conquistare l’anello blu di San Siro. Un progetto per la verità del passato ma, la sua carcerazione, aveva stroncato il progetto, lasciando poi spazio proprio a Luca Lucci e Giancarlo Lombardi. L’operazione, rimasta sopita e mai tramontata, «aveva trovato immediata linfa ed energia alla sua scarcerazione» annotano i pm nel fermo, e per la quale era fortemente intenzionato a rivendicare la propria posizione. «(…) perché gli ho detto “io come finisco l’affidamento io vengo e ti prendo».

Gli amici degli amici

Il riferimento è alla fase iniziale del “progetto” che aveva visto un iniziale assenso sulla concessione degli spazi richiesti, prima del diniego. La reazione “violenta” di Vottari, dunque, avrebbe portato il duo Lucci-Lombardi a rivolgersi ad un amico di Vottari, ma senza ottenere risultati. Quest’ultimo, infatti, non avrebbe risolto la querelle, spingendo i due a rivolgersi a Saverio Trimboli soggetto «intraneo alla ‘ndrina Barbaro-Papalia di Platì, cosca estremamente operativa in Lombardia» annotano i pm nel fermo. «(…) gli ho detto “Sarino, là il posto non è che è suo… là… è vero che come mi state dicendo voi che il posto di quelli che c’erano prima… e li hanno cacciati… però prima di tutto c’eravamo noi là prima…». Come ricostruito dagli inquirenti, dunque, la presenza di personaggi rappresentanti di famiglie di ‘ndrangheta avrebbero spinto Vottari a chiedere il necessario interessamento ed intervento di Peppe Calabrò, figura di primo piano nell’ambito della ‘ndrangheta calabrese. «(…) Sarino si è maritato una nipote… di Rocco Papalia… cioè, una prima cugina di un nipote mio… questo… Rocco “U Sparitu” era pure un nipote acquisito…» dice proprio Calabrò nella discussione.

Sanlucoti e platioti

Secondo poi quanto riferito da Calabrò, il sanlucota avrebbe avuto un incontro con questo Sarino, notizia che avrebbe appreso dal nipote Michele. «Io non so nemmeno di che si tratta!» replica Calabrò a Vottari, che risponde ancora: «(…) lui ha detto che nemmeno vi conosce. Dice “io non so chi è”». E ancora: «(…) esce fuori questo qua… fa vedere che è amico di famiglia dice… si vede che ora questo lo hanno portato anche a casa…». Vottari, dunque, aveva dovuto porre un freno alle proprie mire anche a causa della presenza di rappresentati delle ‘ndrine platiote. Già nel 2006 l’idea era temporaneamente naufragata a causa del suo arresto, lasciando “campo libero” a Lucci. «(…) 12 anni che sto combattendo… solo che poi che mi hanno “attaccato”, una cosa e un’altra… però sono 12 anni che sto combattendo…» dice lui stesso, chiedendosi: «Ma perché dovete mangiare soli?». «Se Sarino si caccia da là, io questo me lo mangio, gli mando una squadra», una chiara minaccia – almeno nelle intenzioni – rivolte al capo della Sud, Luca Lucci. (g.curcio@corrierecal.it)

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