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«Il carcere attenua l’insensibilità dei boss di ‘ndrangheta, mafia e camorra»

La ricerca degli psicologi nella casa di reclusione di San Gimignano

Pubblicato il: 19/10/2024 – 8:50
«Il carcere attenua l’insensibilità dei boss di ‘ndrangheta, mafia e camorra»

SAN GIMIGNANO La detenzione in carcere dei boss e dei gregari di mafia, camorra e ‘ndrangheta attenua i tratti della loro personalità criminale, come la manipolazione degli altri, forme narcisistiche del sé, la mania del sospetto, cinismo e insensibilità. Questi, in buona sostanza, i primi risultati di una ricerca degli psicologi illustrati nel carcere di San Gimignano (Siena). Lo studio è stato fatto con questionari e interviste a detenuti per associazione mafiosa, con una lunga detenzione e che seguono un percorso universitario, da parte dell’Ordine degli psicologi della Toscana, del dipartimento di Scienze psicologiche dell’università di Palermo e di L’altro diritto-Centro di ricerca interuniversitario su carcere, devianza a marginalità e governo delle migrazioni. «L’obiettivo era capire gli effetti della lunga detenzione, del trattamento penitenziario, dell’intervento psicologico e del percorso di studi sulla loro personalità – spiega la psicologa Ilaria Garosi, curatrice – Da una prima analisi dei risultati è emerso che alcuni tratti della personalità descritta nella letteratura (tendenza a manipolare gli altri, un sé grandioso, assenza di empatia e sensibilità, sospettosità che sconfina a volte nella paranoia) si sono attenuati. Da questo si può supporre che il trattamento detentivo abbia interferito in maniera positiva sulla personalità delle persone detenute e che il percorso di studi seguito abbia contribuito a generare nuove prospettive di pensiero e un’apertura mentale maggiore». La ricerca è stata fatta «nella casa di reclusione di San Gimignano – commenta Maria Antonietta Gulino, presidente degli psicologi della Toscana – La scelta del luogo vuole testimoniare l’impegno nel fare ricerca e occuparsi della salute psicologica di tutte le persone, anche di quelle detenute e quelle che lavorano nelle case di reclusione».

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