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Rapita e “nascosta” in Calabria, il rocambolesco sequestro di Simonetta Lorini

La fuga e il riscatto richiesto da due membri della banda della Comasina. L’intervento di un prete. Il viaggio da Milano a Gallico

Pubblicato il: 20/10/2024 – 16:37
Rapita e “nascosta” in Calabria, il rocambolesco sequestro di Simonetta Lorini

MILANO Vimodrone è un comune di 16mila anime a nord della città metropolitana di Milano. Un paese in pianura, attraversato dal Naviglio Martesana, teatro nel 1980 di un rapimento organizzato da alcuni uomini della banda della Comasina: il gruppo criminale che faceva capo a Renato Vallanzasca. Era una Milano bagnata dal sangue e dai proiettili, le bische e il gioco d’azzardo valevano quanto il traffico di droga. Ma c’erano altri business che facevano gola alla mala: le rapine e i sequestri. In quest’ultimo caso, la posta in palio era altissima, si parlava di riscatti dal valore di miliardi delle vecchie lire, e i rischi decisamente minori rispetto alle altre attività che attiravano le attenzioni delle forze dell’ordine. Con i sequestri, infatti, i criminali tentavano l’immediata trattativa con i familiari delle vittime: soldi in cambio del rilascio e nessuno si faceva male. E alcune volte ci sono anche riusciti. Ma non sempre le cose vanno lisce, e Vallanzasca e i suoi ne sanno qualcosa.

Il sequestro Lorini

L’ansia di ottenere facili guadagni non consente ad alcuni componenti della banda della Comasina di ragionare sul sequestro della giovane Simonetta Lorini (nella foto del Corriere della Sera). Una studentessa di Medicina che il 9 ottobre del 1980 mentre torna viene presa e portata via con la forza a bordo di una Alfa di colore beige. Nell’auto trovano posto due uomini armati con fucili a canne mozze. La famiglia Lorini non possiede grandi risparmi, ma ai malviventi poco importa. Come ricorda il Corriere della Sera, in un articolo, «la conferma arriva con una telefonata: “Se volete rivedere Simonetta servono tre miliardi”». Ad organizzare il rapimento sono Enrico Merlo e Osvaldo Monopoli, «nomi di spicco della banda della
Comasina, luogotenenti di Vallanzasca».

Il fiato sul collo

Come dicevamo, i sequestri in molti casi riuscivano a risolversi con una trattativa veloce, ma nel caso del rapimento di Simonetta Lorini le cose non vanno come i banditi speravano. Milano è in fermento, le forze dell’ordine danno la caccia a Merlo e Monopoli. Che avvertono il pericolo e decidono di trasferire la studentessa in Calabria, a Gallico, «affidandosi a criminali locali per gestire la casa-nascondiglio, finché in città – diretta da alcune soffiate – non arriva la Squadra mobile di Milano, guidata da Achille Serra». Merlo e Monopoli sono scaltri e anche un po’ fortunati, riescono a spostare la studentessa in un’altra abitazione «procurata da un boss locale, don Ciccio Chirico», poi – come racconterà l’edizione milanese del Corriere della Sera – «decidono di riportarla a Milano usando i mezzi pubblici».

La trattativa e il ritorno a casa

Le fughe improvvise e obbligate non danno tregua ai due della banda, decisi a non interrompere le trattative per il rilascio di Simonetta Lorini. Si tratta sul prezzo da pagare e – sottolinea il Corriere – interviene don Stefano Valtorta, un sacerdote amico di famiglia dei Lorini e parroco di San Remigio. E’ lo stesso parroco a diventare protagonista della trattativa, sale a bordo della sua 128 e raggiunge l’imbocco con l’Autostrada dei Laghi. Consegna la valigetta coi soldi, 200 milioni di lire. Lorini torna a casa. La corsa dei due rapitori finisce il 17 febbraio del 1981, nascosti in un attico a Porta Romana. Il processo si chiude con le condanne a 18 anni per Merlo e Monopoli. (redazione@corrierecal.it)

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