ROMA «Non porterebbe alcun vantaggio alla comprensione dei fenomeni e al da farsi, se concentrassimo tutte le nostre attenzioni sull’Emilia-Romagna, proprio mentre le piogge aggrediscono Umbria e Marche, appena dopo che la Liguria è stata trasformata in un dominio subacqueo, e Calabria e Sicilia vedono l’acqua entrare nelle case. Tutta l’Italia viene ormai alluvionata con una frequenza e una consistenza sconosciute prima. Ma certo il caso dell’Emilia-Romagna è comunque in qualche modo paradigmatico per diverse ragioni, a partire da quella territoriale: una regione tra le più sviluppate dal punto di vista economico è anche la più interessata da frane e alluvioni, ed è difficile pensare che si tratti di un caso”. Lo scrive in un suo intervento su La Stampa il geologo e divulgatore Mario Tozzi. “In Emilia-Romagna si è costruito come forsennati e lo si è fatto anche nelle aree a pericolosità idraulica, quelle che andrebbero lasciate intatte e, anzi, lentamente sgombrate da parte della popolazione residente e dalle costruzioni. Non bastasse, la parte orientale della regione ha visto progressivamente cancellati quei lacerti di natura che avevano resistito al furore bonificatorio dei nostri antenati e che, oggi, avrebbero protetto case e persone”. Dice ancora Tozzi: “In Italia ci sono qualcosa come dodicimila chilometri di corsi d’acqua seppelliti da asfalto e cemento. Non che non accada lo stesso in Lombardia (Seveso e Lambro, per citare un esempio) o altrove, ma il conto che la crisi climatica ci sta presentando è più salato in Emilia-Romagna e non servirà a molto prendersela con il cameriere che lo notifica”.
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