COSENZA «Noi siamo convintamente per il no, non come chi fa ricorso ma poi è per il Sì»: la chiusa dell’intervento di Angelo Gangi, fedelissimo del sindaco di Castrolibero Orlandino Greco, nel corso di una recente assemblea anti-fusione a Rende al netto del riferimento a Franz Caruso lascia intendere che quello dei sindaci è un fronte tutt’altro che compatto.
Anzitutto bisogna ricordare che ognuno dei tre comuni interessati dalla fusione – accomunati solo dal ricorso al Tar – ha una sua peculiarità politico-amministrativa oltre che finanziaria: da un lato ci sono i 300 milioni di debiti di Cosenza, dall’altro i conti in ordine di Castrolibero e in mezzo l’anomalia Rende, consiglio sciolto per mafia, con il rebus amministrative ma anche frecce non da poco nel proprio arco, siano esse l’Unical, l’area industriale, il reddito pro capite tra i più alti della regione e la chimera del nuovo policlinico tra Arcavacata e Montalto. Intanto, sul fronte più prettamente politico si registra la puntualizzazione di Mario Occhiuto, che più d’uno vede come probabile candidato sindaco del nuovo comune: «Ho già fatto il sindaco e non miro a ripetere l’esperienza» ha detto alla Gazzetta del Sud il senatore di Forza Italia.
Perché quello della Grande Cosenza è – a partire dalla denominazione dell’eventuale nuovo comune, appunto – un tema divisivo come pochi, persino all’interno di orientamenti simili o comunque vicini.
Il sindaco di Cosenza ha presentato ricorso al Tar ma ha da sempre rivendicato il Comune unico come sua grande battaglia oltre che tema messo nero su bianco nel programma da candidato sindaco su cui è stato eletto dai cosentini tre anni fa. Il Comune di Rende si esprime per mezzo del Comitato spontaneo che proprio venerdì scorso ha dato il via alla campagna referendaria al Museo del Presente, incalzando i commissari – retoricamente – a prendere posizione sull’argomento.
Infine c’è il sindaco di Castrolibero Orlandino Greco – di area centrodestra – che tra il sostegno a chi riformò il Titolo V (il centrosinistra) e una critica alla maggioranza in Regione («fermatevi finché siete in tempo perché vi farete male») che ha trovato sponda nel Pd nella seduta consiliare di fine luglio mantiene più di altri la barra sul No alla fusione e sulla difesa dell’identità.
Due sono i comuni che stanno organizzando la levata di scudi. Per Pino Capalbo, sindaco dem di Acri, la fusione «è una imposizione e non una scelta consapevole dei Comuni»: stessa posizione del Comune di Luzzi, e proprio da Luzzi e Acri i sindaci dem Umberto Federico e lo stesso Capalbo avevano rilanciato le ragioni alla base della mobilitazione dei territori contro una legge che «umilia il confronto e la partecipazione democratica»: un mese fa, nel corso della Festa provinciale dell’Unità nel capoluogo bruzio, hanno annunciato una iniziativa “ad iuvandum” a sostegno del ricorso al Tar del comune di Cosenza sul vizio di costituzionalità. Nel frattempo le prese di posizione di questi due popolosi centri del Cosentino sembrano aver mosso altre iniziative simili.
Sulla scia di quanto accaduto proprio nel Consiglio comunale di Luzzi (che ha approvato con un solo voto contrario, nella seduta del 25 luglio, la richiesta di un referendum abrogativo dell’articolo 4 della legge regionale 24/2023) è partita una campagna in ossequio allo Statuto regionale, secondo cui almeno dieci Consigli comunali, in rappresentanza di centomila elettori, possono formulare richiesta di svolgimento, sull’intero territorio regionale, di un referendum rivolto ad abrogare quella norma regionale, che ha modificato il referendum da vincolante a consultivo ed ha stabilito che il quesito referendario, per la fusione tra comuni, non sia deliberato dai Consigli comunali ma disposto dalla Regione. Acri e Luzzi guidano la mobilitazione che ha coinvolto in questa prima fase 28 Comuni della provincia.
«L’istituzione della città unica tra Cosenza, Castrolibero e Rende – ha sottolineato il sindaco di Luzzi – è solo un artificio legislativo. La fusione non è il fine ma il mezzo attraverso cui la Regione ha inteso autoassegnarsi il potere di scioglimento dei consigli comunali», potere di esclusiva competenza del presidente della Repubblica, su proposta del ministro dell’Interno e non delle Regioni: le Regioni possono modificare le circoscrizioni comunali e la loro denominazione solo a condizione che siano i Comuni a deliberare il progetto della fusione tra loro.
«Il Consiglio regionale – questa la posizione di Federico – ha approvato una legge, non impugnata dal Governo nazionale amico, nonostante essa si ponesse in stridente contrasto con l’articolo 133 della Costituzione e con le stesse leggi nazionali attualmente vigenti. Una norma di forte squilibrio dell’ordine istituzionale; un abuso, una clava che può essere agitata ogni qualvolta un Comune non sia di gradimento del presidente della Giunta o della maggioranza di governo regionale di turno».
Il dibattito sulla Grande Cosenza ha due precedenti entrambi nel Cosentino, citati dai (pochi) favorevoli alla fusione ma anche qui con distinguo: Casali del Manco e Corigliano-Rossano, a proposito dei quali anche i detrattori della fusione tra Crati, Campagnano ed Emoli ricordano il processo lungo e virtuoso che ne è stato alla base: quanto di più diverso – questo in soldoni il ragionamento – dall’accelerazione imputata al centrodestra a Palazzo Campanella.
Mentre si registra una posizione critica anche da parte dei 5 Stelle, area di riferimento dello stesso Stasi, il dibattito resta caldo in attesa che il Tar deciderà (il 6 novembre) in udienza unificata sui ricorsi di Cosenza, Rende e Castrolibero: il pronunciamento del tribunale amministrativo sarà il prossimo step in attesa del referendum sulla fusione, già fissato per domenica 1 dicembre. (e.furia@corrierecal.it)
Città unica, la parola a un tecnico: «La fusione conviene sempre, soprattutto al Sud»
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