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Cronaca di una morte annunciata

Ti svegli, presto, ancora buio. Non sarà una giornata facile, oggi. Sarebbe stato il compleanno di tuo padre, oggi. Sarebbe stato il compleanno di tuo madre, domani. Caffè doppio (sai che ti fa ma…

Pubblicato il: 24/10/2024 – 11:23
di Vito Teti
Cronaca di una morte annunciata

Ti svegli, presto, ancora buio. Non sarà una giornata facile, oggi. Sarebbe stato il compleanno di tuo padre, oggi. Sarebbe stato il compleanno di tuo madre, domani. Caffè doppio (sai che ti fa male), frutta, yogurt e cominci a pensare dove eri rimasto, da cosa potresti iniziare. Pensi a qualche urgenza, inventata, che non è urgente per nessuno, per potere dare, minuto, dopo minuto, un senso a questa vita che, come diceva Vasco Rossi, un senso non ce l’ha. Apro un libro, guardo i messaggi. Da Zurigo mio figlio ha mandato una serie di foto di un ragno enorme e brutto, pare che si chiami Nosferatu (ti sta proprio bene, studioso e amico dei vampiri), una nuova specie che sta assediando la capitale Svizzera. Quando non esci, stai a casa, sei solo, pensi, immagini e ricordi il paese pieno di una volta, la gente ai bar, l’edicola aperta, le persone che ti salutano dalla soglia e lungo la strada. Chissà, ti dici. Ti fai coraggio. Oggi, peraltro, martedì, c’è il piccolo mercato settimanale, troverai almeno un venditore con cui chiacchierare. Esci. Dalla Papa, la ruga in cui abito, alla Piazza Crissa, camini per duecento metri, tutte le porte sono chiuse, non incontri nemmeno un’anima, mancu ‘nu cani, vai, ancora speranzoso, verso Piazza Marconi, dove i martedì due o tre ambulanti, tentano, senza successo, di vendere le loro merci e la loro frutta, le scarpe, lo stoccafisso, il pollo allo spiedo. Non c’è nessuno. Domandi a Nicola, l’unica persona che va su e giù con l’ombrello aperto in mano, senza che piova: – Ma, di martedì, non c’è il mercato. E lui continuando a camminare, senza guardarti, risponde:- Quale mercato con questo tempo! Non e venuto nessuno. In giro c’è stato un maltempo che si è portato via strade e macchine. Mal tempo o bel tempo, ti dici, qui è ormai un perenne temporale, una calamità ininterrotta, un perpetuo venerdì Santo, come diceva Alvaro, di un paese in abbandono, già ai suoi tempi. Che fai? Ti senti spaesato, non sai dove andare, tu, proprio tu, che sei entrato in tutte le case vive e piene del paese. Non sai forse che lo spaesamento è una condizione comune, con diverse forme e gradazioni, a chi parte, a chi torna, a chi resta, a chi non sa dov’è, a chi è sempre altrove? Non sai forse che il senso dell’abitare e dell’ “esserci” riguardano chi vive in un’immensa metropoli, in una grande città in un paese di ottocento abitanti? Non sai, forse, che partire e restare, spaesamento e appaesamento, sono stati da sempre le scelte o, più spesso, le necessità della tua specie, alla quale, come alle altre specie animali, nulla è stato dato gratis e per sempre? Potresti andare a trovare qualche amico o amica, ancora rimasti, che sono a casa. Un caffè in compagnia, almeno, visto che davanti ai due bar non c’è nessuno. Allontani il pensiero. Questa mattina non te la senti di ascoltare l’elenco di chi sta male; non ti va di ripetere e di sentire più ripetere: – Qui non c’è nessuno. Il paese è morto. Potrei andare al bar dove si radunano i pochi resistenti, ma devi essere pronto a mangiare il panino con la mortadella, a bere due, tre, quattro birre. Ti avvii, come un cane bastonato, verso casa. Ancora non hai incontrato nessuno e la strada è pure interrotta per dei lavori in corso. E così tra rimpianti, melanconie, sguardo vero e crudo sul tuo universo che muore, torni verso casa. Aprirai un libro, attenderai il ritorno da scuola di tua moglie, magari telefonerai a Zurigo per avere notizie del ragno, o a tua figlia a Roma per sapere come va, se c’è stato maltempo. Non risponderai alle mail piene, ai messaggi, alle telefonate. Cosa puoi, davvero, fare per gli altri paesi, se non sei riuscito a fare nulla per il tuo, pure avendolo amato, curato, lasciato, accarezzato, pure essendo entrato nelle sue profondità, nelle sue caverne, magari alzando gli occhi verso il cielo? Non ci sono nemmeno nuvole, questa mattina. Confessa: avresti voglia di strozzare quelli che non si accorgono ce i paesi stanno morendo, quelli che, però, la Calabria è bella e meravigliosa, anche se i giovani sono andati via. Non strozzeresti nessuno: ormai non uccidi nemmeno le mosche. Odi la violenza, le guerre, le ingiustizie, non hai, non vuoi avere, nemici. Avresti voglia di inveire contro chi continua a dire che “ormai non c’è più niente da fare” o, viceversa, che la Calabria presto si ripopolerà (quali dati e quale visioni avranno auto!). Avresti voglia di urlare: svegliatevi, fate qualcosa, la nave affonda, bisogna spegnere l’incendio, salvare il salvabile. Forza, siamo figli della fatica e dell’emigrazione, non era bello il mondo del passato, non è da rimpiangere, ma dobbiamo vivere e abitare il mondo di oggi, per le madri e per i padri, per gli antenati, per i figli, per quelli che verranno. Non fai nulla di tutto questo. Tornerai a casa, accenderai internet e, magari, ti capiterà di leggere che restare è bello, è comodo, è facile e che qui c’è il Paradiso e altrove è pieno di tanti terribili Inferni. Altri faranno l’elogio del paese vuoto, sacro, vero e qualcuno avrà pure il coraggio di invitare le persone che vivono fuori a tornare e quei pochi che non hanno strade, cinema, scuole, ospedali, librerie, cinema, bar a restare e a non partire. E allora, forse, vorresti morire. Ricordi che sei sempre contro la morte (come tua madre, come Canetti), che sei nato per correre, per camminare, per vivere, per amare e che, forse, la cosa migliore da fare, questa mattina, è andare a casa, guardare il ricordino dei tuoi e tornare a parlare di fatica e bellezza di vivere, di insensatezza dell’esistenza e dell’amore che ci spinge avanti, di legami e di affetti che non finiscono. Capirai che, ricordando, devi andare avanti, che la memoria e la nostalgia non hanno marcia indietro, ma spingono a capire il presente, ad inventare e a immaginare un nuovo futuro in questo mondo fragile, anche nel paese vuoto, in un pianeta a cui il Sapiens ha fatto un affascinante, meraviglioso, cammino, fatto anche di macerie e di barbarie, di orrori e di ingiustizie, per ritrovarsi sul baratro di possibile fine corsa da cui soltanto lui potrà allontanarsi. Adesso, devi scrivere quella che sembrerà una trovata, un’invenzione. E non lo è. Fuori c’è il sole, ma non lo dico forte perché il ministro Giuli potrebbe spiegarci che è il Gran Sole delle Alpi. Fuori c’è il sole, a dispetto di quanti stanno affermando pratiche e paure di morte. C’è il sole, oggi, fuori.

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