COSENZA Tutto ruota intorno all’esistenza del presunto “sindacato” di ‘ndrangheta a Cosenza. Il processo “Reset“, celebrato con rito ordinario dinanzi al Tribunale di Cosenza e quello abbreviato ormai vicino a sentenza ospitato nell’aula bunker di Catanzaro, ruota attorno alla presenza di una struttura unica in grado di accogliere tutti i gruppi criminali cosentini. Sul punto è stato chiaro l’ex numero uno del clan degli “Italiani” Francesco Patitucci: «non esiste nessuna Confederazione», ha ripetuto più volte in aula, mentre molti pentiti lo indicano come il «capo di tutto» e al vertice di questa ipotetica cupola criminale.
Mario “Renato” Piromallo, nel corso dell’udienza celebrata lo scorso 7 ottobre a Catanzaro e relativa al filone abbreviato del procedimento contro la ‘ndrangheta cosentina, ha avuto modo di prendere la parola e fornire dettagli sulla situazione dei gruppi cosentini a seguito delle operazioni, che negli anni hanno decapitato famiglie e cosche. «Il clan Lanzino esisteva, ne ho fatto parte in qualità di partecipe fino al 2011, con l’arresto dell’operazione “Terminator” e con l’arresto di Lanzino diventa praticamente tutta una banda di quartiere e diventiamo scappati da casa». Il racconto di Piromallo prosegue. «Esco dai domiciliari a maggio del 2014, Roberto Porcaro mi disse che c’era stata una scissione e ognuno doveva stare per conto suo e chi riusciva a fare qualcosa doveva ripartire quei pochi detenuti che erano in carcere e ognuno si doveva prendere i propri stipendi, cosa che non ho mai fatto».
Nel 2015 Patitucci finisce di scontare la pena e abbandona l’istituto penitenziario nel quale era recluso. «Lo vado a trovare e lo trovo con i denti di fuori, perché i miei simili armavano “tragedie” tutte su di me, addirittura che avrei fatto una rapina in un periodo che io ero detenuto, pensavo che scherzasse invece lui parlava davvero». Il boss crederà a Piromallo, come confermato da quest’ultimo, mentre il rapporto con Porcaro non decollerà mai. «A mio avviso non è un capo di nessuno, in assenza di Patitucci, Porcaro non è il capo di nessuno. La piramide che esisteva nel clan Lanzino fino al 2011 è stata capovolta, eravamo tutti in una posizione orizzontale, ognuno faceva il suo, io certamente qualche cosa l’ho combinata».
Da Mario Piromallo ad Adolfo D’Ambrosio, la sostanza non cambia. Un altro dei soggetti coinvolti nell’inchiesta “Reset” conferma quanto dichiarato da altri imputati: non esiste alcun gruppo unico della mala a Cosenza. «Mi ritengo estraneo a questa associazione, io ho pagato l’associazione fino al 2019 e da allora non ho commesso reati e frequentato persone». Più di qualcuno sostiene che invece Adolfo D’ambrosio sia tra i vertici dell’omonimo gruppo. «Il capo di che? Io non comando neanche a casa mia, e non mi incontro con nessuno (…) mi portano nel gruppo Abbruzzese, e chi li ha conosciuti mai? Se mi hanno conosciuto nelle mie disavventure in carcere (…) e quello non l’ho potuto evitare». La “difesa” di D’Ambrosio, protagonista come Piromallo di una dichiarazione spontanea, prosegue: «Se ho sbagliato l’ho fatto per sopravvivere, contestatemi dove ho sbagliato e pago». (redazione@corrierecal.it)
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