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I mafiosi non dimenticano, in molti preferiscono tacere

Solo dopo l’ennesimo attentato a Tiberio Bentivoglio, tanti tornano a farsi sentire

Pubblicato il: 27/10/2024 – 10:04
di Ennio Stamile
I mafiosi non dimenticano, in molti preferiscono tacere

REGGIO CALABRIA Siamo alle solite! Ancora un altro, l’ennesimo, vile attentato nei confronti di Tiberio Bentivoglio. Il 24 maggio scorso dalla pagine di questo Giornale, assieme a don Marcello Cozzi, invitavamo a “ non lasciare solo Tiberio”, in uno dei tanti momenti difficili del suo essere testimone di giustizia. In molti ricorderanno che gli era stata revocata la scorta per decisione del Ministero dell’Interno che, senza motivare il provvedimento e senza alcun preavviso, glielo notificava via etere mentre si trovava nei pressi di Crotone per una delle sue centinaia di testimonianze. In quell’occasione ribadivamo un concetto tante volte espresso da Giovanni Falcone: “la mafia non dimentica”. Paradossalmente, mentre i mafiosi non dimenticano, in tanti che non avrebbero dovuto, in quella occasione lo hanno fatto: uomini e donne delle Istituzioni di vario genere, appartenenti al mondo associativo e sindacale, hanno preferito tacere e non esporsi nei confronti di una decisione che pur senza entrare nel merito, andava biasimata, se non altro per le modalità con le quali è stata posta in essere. Solo ora, dopo l’ennesimo attentato, tanti di coloro che avevano preferito tacere tornano a farsi sentire, atteggiamento che, onestamente, trovo ipocrita, nel senso dell’etimo greco del termine (ypo-crino = al di sotto della capacità di discernere).
D’altronde, metterci la faccia, esporsi, soprattutto quando, come nel caso di Tiberio, c’era da schierarsi a fianco di chi ha subito una decisione incomprensibile, da parte di uno Stato che attraverso le sue articolazioni istituzionali dovrebbe sempre stare dalla parte delle vittime, non è andato mai di moda. Spesso si preferisce tacere o per partito preso, oppure per ordini di scuderia. Entrambi gli atteggiamenti stridono con quella libertà di pensiero e di parola che sorge nella coscienza di ciascuno. È ciò che ha mosso e muove gli obiettori di coscienza di ieri e quei pochi rimasti oggi, che preferiscono “obbedire” ai propri valori e ideali più che ad alcune norme che si ritengono ingiuste o alle “convenzioni” e prassi istituzionali.
Credo giovi a tutti ricordare alcuni aspetti: l’obiezione di coscienza non contesta la legittimità del potere, ma il suo esercizio in alcuni casi specifici. Chi obietta è convinto che i suoi valori e principi non siano un capriccio personale ma abbiano una portata universale; il termine “coscienza” secondo la costituzione, è l’insieme delle convinzioni e delle credenze personali riguardanti una visione del mondo e della vita e i valori che si ritengono significativi in se stessi. Non è un caso che la libertà di coscienza, sempre per la nostra Carta fondamentale, è un’espansione laica della libertà religiosa, che in ogni caso ne ha rappresentato il centro propulsore. Non lasciare solo un uomo come Tiberio in un momento di estrema difficoltà quale quello ricordato sopra, ha un valore universale perché si tratta di stare dalla parte di coloro che hanno bisogno di pace, di giustizia, di vedersi riconosciuti i propri diritti sanciti dal nostro ordinamento e non il dover fare i conti con una burocrazia che spesso soffoca tutte queste sacrosante attese. Credo che maggiore responsabilità, nel caso di Tiberio, abbiamo avuto tutte quelle persone, è sono davvero molte, che dovevano schierarsi e non lo hanno fatto; che dovevano rispondere a semplici domande, peraltro legittime, ed hanno preferito rinchiudersi dietro le proprie certezze orientate da fredde logiche istituzionali, dove non c’è mai spazio eventuali per errori, distrazioni o fragilità. Sia ben chiaro, quando queste si manifestano fuori dal cerchio magico, ovviamente, perché quando si sperimentano all’interno allora si elemosina comprensione con tutti i mezzi possibili, anche con una lunga intervista su Rai 1 in prima serata. Aveva ragione Giorgio Gaber quando riflettendo con il suo stile libero ed ironico capace come pochi cantautori di andare in profondità, diceva che la “democrazia non è nemica della qualità, ma è la qualità ad essere nemica della democrazia … Bisogna adeguarsi e un’adeguatina oggi e un’adeguatina domani… ”, si finisce per perdere di vista quei valori e principi per i quali si è compiuta una scelta di vita e rimanere schiavi del sistema.

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