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Il tribunale di Bologna: «Anche la Germania nazista era un paese sicuro?»

I giudici rinviano il dl “Paesi sicuri” alla Corte Ue

Pubblicato il: 30/10/2024 – 7:14
Il tribunale di Bologna: «Anche la Germania nazista era un paese sicuro?»

ROMA La sezione immigrazione del tribunale di Bologna, alla luce del nuovo Dl sui “Paesi sicuri”, ha ritenuto «sussistenti» i presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea per chiedere quale sia il parametro «sulla cui base debbono essere individuate le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro» e se «sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare» le disposizioni nazionali in caso di contrasto con la direttiva 32/2013, che riguarda le procedure comuni «ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di protezione internazionale». La decisione del tribunale di Bologna è stata assunta nell’ambito di un procedimento sul ricorso di un cittadino del Bangladesh che aveva impugnato la decisione della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Bologna, (sezione di Forlì -Cesena) con la quale la sua domanda di protezione internazionale era stata dichiarata manifestamente infondata in ragione della sua provenienza da «paese di origine sicuro» e della «ravvisata mancata indicazione di gravi motivi per ritenere che quel Paese non è sicuro per la situazione particolare in cui lo stesso richiedente si trova».


Tribunale Bologna: «Con Dl Germania nazista sicura»


«Paradossalmente si potrebbe dire che la Germania sotto il regime nazista era un paese estremamente sicuro per la stragrande maggioranza della popolazione tedesca: fatti salvi gli ebrei, gli omosessuali, gli oppositori politici, le persone di etnia rom ed altri gruppi minoritari, oltre 60 milioni di tedeschi vantavano una condizione di sicurezza invidiabile. Lo stesso può dirsi dell’Italia sotto il regime fascista». Lo scrivono sempre i giudici del Tribunale di Bologna nell’ordinanza con cui si chiede alla Corte di Giustizia europea di esprimersi sul decreto migranti. «Il sistema della protezione internazionale – argomentano i giudici prima di tirare in ballo la Germania nazista e il regime fascista – è, per sua natura, sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti persecutori, statuali o meno. Salvo casi eccezionali (lo sono stati, forse, i casi limite della Romania durante il regime di Ceausescu o della Cambogia di Pol Pot), la persecuzione è sempre esercitata da una maggioranza contro alcune minoranze, a volte molto ridotte. Se si dovesse ritenere sicuro un paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di Paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica». Così, ragionano i giudici, il Conseil d’E’tat francese «ha ritenuto illegittime le designazioni del Senegal e del Ghana, perché vi è persecuzione delle persone Lgbtqia+» e allo stesso modo si è comportata la Corte suprema inglese quando «ha dichiarato illegittima la designazione della Giamaica in ragione della persecuzione delle persone Lgbtqia+, osservando come in questi casi non si tratti di superare la presunzione di sicurezza sulla base di una eccezione individuale, ma di verificare se il paese sia sicuro per intere categorie di persone e ritenendo al riguardo irrilevante che il paese sia, invece, sicuro per la maggioranza della popolazione». Il Tribunale di Bologna chiede che la Cgue dica «se la presenza di forme persecutorie o di esposizione a danno grave concernenti un unico gruppo sociale di difficile identificazione – quali ad esempio le persone Lgbtiqa+, le minoranze etniche o religiose, le donne esposte a violenza di genere o a tratta ecc. escluda» la designazione di Paese sicuro; e se in caso di contrasto tra la direttiva europea e le disposizioni nazionali «sussista sempre l’obbligo per il giudice nazionale di non applicare queste ultime, in particolare se tale dovere per il giudice di disapplicare l’atto di designazione permanga anche nel caso in cui detta designazione venga operata con disposizioni di rango primario, quale la legge ordinaria». Si chiede alla Cgue di esprimersi con urgenza, tra l’altro, per «la gravità dell’inedito conflitto istituzionale in corso». «L’opinione per cui gli atti di designazione sono, quali “atti di alta politica”, sottratti al sindacato giurisdizionale -affermano i giudici – ha condotto a una gravissima e inedita crisi istituzionale, di cui ha dato ampiamente conto la stampa europea».

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