COSENZA «Ricordo come un sogno le case di viale del Re diventato viale della Repubblica, piazza Fera diventata Piazza Bilotti, i giardini alberati della Villa Nuova, i leoni della Villa Vecchia. Cosenza glaciale di gennaio sotto le montagne innevate della Sila e arse dall’afa con le strade vuote. Le insegne luminose della Standa e Bertucci, il primo gelato di “Zorro” nocciola e torrone, le domeniche erranti sovrastate dalle radiocronache di Milicchio e Bria, una violinista veneziana che cerca alloggio per l’inaugurazione del “Rendano”. Tutta la mia giovinezza passata nei cinema di Cosenza e Rende, il tetto del “Citrigno” che si apre in cielo a vedere le stelle che ancora non conoscevo e poi quell’applauso del pubblico al “Cinema Astra” quando Gian Maria Volontè che fa Vanzetti, prima di sedersi sulla sedia elettrica dice: “viva l’anarchia”. In quante altre città d’Italia si sarà levato quell’applauso? A questo pensavo la notte del 31 dicembre 1999, fine del secolo breve, stretto nei 40 mila Cosentini scesi per la prima volta in piazza, collettivamente a Capodanno, per ascoltare il concerto di Franco Battiato, e in tanti a stringere le mani al sindaco Giacomo Mancini, il monarca illuminato che per volontà popolare aveva reso possibile la rivoluzione di una città che aveva modificato il suo destino».
Ha esordito così il giornalista, scrittore e intellettuale cosentino del Corriere della Calabria Paride Leporace nella sua Lectio dal titolo “Il Secolo breve a Cosenza: fatti e persone”, tenutasi giovedì 24 ottobre nella Sala degli Stemmi del Palazzo della Provincia di Cosenza. Un evento fortemente voluto dall’Accademia Cosentina insieme alla stessa Provincia. Leporace, pur ammettendo di essere fortemente emozionato, ha coinvolto con le sue parole sensibili e potenti e dai tratti letterari e poetici, il numeroso pubblico presente in sala.
«Nel 1901 – ha ricordato – la provincia di Cosenza aveva la percentuale nazionale più alta d’analfabetismo. Negli anni 70 nascerà l’Università della Calabria. Sergio Chiatto (presente in sala, ndr) fu il primo laureato nel 1976 in Scienze economiche e sociali. In mezzo secolo seguiranno centomila dottori, in larga parte calabresi, molti di povera famiglia, moltissime donne. L’Unical oggi è una città del sapere, popolata da migliaia di persone, e vi si governa l’intelligenza artificiale che governerà il mondo. L’hanno creata i padri fondatori, Riccardo Misasi, Antonio Guarasci, Cecchino Principe, Giacomo Mancini, il primo rettore Beniamino Andreatta, ma furono determinanti le lotte del 68 cittadino di molti studenti medi».
Leporace ha rimarcato come negli anni 60 a Cosenza l’iscrizione alle medie superiori raggiunse l’elevata cifra del 109 per mille abitanti contro una media calabrese del 24, quattro volte superiore alla calabra.
Paride Leporace ha evidenziato i «molti meriti» di Riccardo Misasi, a 26 anni deputato, ministro prima dei 40, «uno dei migliori figli dell’Atene di Calabria». «Il 24 aprile 1911 – ha proseguito il giornalista e scrittore – Cosenza festeggia il quarto centenario della nascita di Bernardino Telesio. Sulla gradinata del teatro comunale il discorso celebrativo lo tiene un giovane docente dell’Università di Palermo. Si chiama Giovanni Gentile e diventerà uno dei maggiori filosofi italiani. Cento anni dopo il comitato lo presiede un laureato professore calabrese dell’Unical. Si chiama Nuccio Ordine».
Leporace ha ricordato anche la notte del 17 giugno 1970, quando per la vittoria della partita del secolo (Italia-Germania 4-3), all’Azteca in Messico, «la generazione dei boomer per la prima volta a Cosenza, come in tutta Italia, con padri e matri popolò la città. Era la prima festa notturna di massa a Cosenza. In tanti quei campioni li avevamo visti giocare all’inaugurazione ufficiale dello stadio “San Vito” che aveva pensionato l’”Emilio Morrone” il primo novembre del 1967 per Italia-Cipro, in un rotondo 5-0 che esaltò il rombo di tuono di Gigi Riva. Peccato – ha proseguito il giornalista – che il commissario tecnico Valcareggi si ostinasse a tenere in panchina, in diretta Rai, il talento locale Ciccio Rizzo, negando il tributo cosentino al primo giocatore calabrese che aveva indossato la maglia azzurra della Nazionale».
Impossibile per Leporace, da sempre legato ai colori rossoblù, non approfondire il discorso legalo al calcio locale, definita «la principale religione laica identitaria cittadina, nata il 23 febbraio del 1914 con una partita contro i dirimpettai del Catanzaro. Toponimo, come sapete – ha detto con ironica partigianeria – come sapete, non molto gradito qui in riva al Crati. Se guardo alla cabbala dei 26 campionati di Serie B giocati dal Cosenza, vedo che le ascese vincenti ruotano attorno agli anni 1946-1947, 1960-1961, 1986-1987, 1998-1999, che in effetti sono anni di buona economia per Cosenza. E’ mancata la Serie A nel secolo breve, forse perché siamo una città di serie B? Speriamo meglio per il nuovo». Il calcio cosentino, ha tenuto a sottolineare, nel secolo breve lascia anche una microstoria, rilevante, analizzata anche da ricercatori internazionali, per il suo tifo ultrà molto anticonformista nei principi e molto attivo nella solidarietà sociale, grazie anche all’incontro con un missionario cappuccino che si chiama Padre Fedele Bisceglia».
Nella rassegna delle personalità citate da Leporace, sono passati i nomi Pietro Mancini Junior, sindaco della città negli anni 90, padre di Giacomo Junior, che sarà deputato, e nipote del capostipite politico di Pietro senior, Michele Bianchi, uno dei più stretti collaboratori di Benito Mussolini. «Fu ministro dei lavori pubblici, stesso in carico che ricoprirà Pietro Mancini nel governo Bonomi nel 1944 e poi il figlio Giacomo nel centrosinistra che spezzerà l’isolamento della città con l’autostrada. Anche Bianchi lasciò un segno a favore della sua terra, avviando in Sila la nascita dei laghi artificiali e fondando Camigliatello, in stretta collaborazione con il podestà Michele Arnoni, diede impulso alla costruzione di quartieri e palazzi pubblici di architettura razionalista che ancora oggi risultano essere tra le migliori espressioni urbanistiche della città». «Il fascismo – ha detto ancora Laporace – aveva dedicato una piazza a Michele Bianchi, quella del Palazzo del Littore, da cui il duce parlò al balcone il 30 marzo 1939. Quella stessa piazza che il 2 ottobre 1944 verrà intitolata per contrappasso a Paolo Cappello, il muratore socialista della massa, ucciso da una squadraccia fascista vent’anni prima e apogeo della violenza del regime nella nostra città. L’antifascismo cosentino durante il ventennio fu minoritario ma presente, come nel resto d’Italia. Nella farmacia Berardelli si riunirono a far fronte a un pugno di intellettuali mai domi a regime. Quel regime che manda al confino Pietro Mancini e Fausto Gullo e tanti altri antifascisti. I comunisti locali, Cesare Curcio in testa, nascosero il clandestino Pietro Ingrao a Cosenza e Pedace. Nella nostra città si sperava che il piccolo Borgo restasse fuori dal conflitto. Ma la guerra era mondiale e non ci risparmiò. Il 12 aprile 1943 gli aerei alleati sorvolarono la ferrovia e le case tra lo sconcerto generale. Fu la prima delle nove incursioni e quel lambo mortale iscrisse nell’albero pretorio di Cosenza 136 morti civili, alcuni erano piccoli scolari e innumerevoli sfollati».
Curiosi alcuni ricordi del giornalista, come quello relativo alla presenza in una clinica cosentina per alcune cure dell’attrice Silvana Mangano, oppure quella nel 1937 del nazista Himmler venuto in città per seguire gli scavi che cercavano la tomba di Alarico. «Una tragedia del secolo breve quella visita – ha affermato Leporace – che si trasformerà in farsa nel nuovo quando qualcuno pensò che quel viaggio potesse anche trasformarsi in un’attrazione turistica». «Tra gli eletti alla Costituente – ha detto ancora – ben quattro cosentini hanno ricoperto incarichi da ministro. Pietro Mancini e Fausto Gullo ai tempi del Cln. Il secondo passerà alla storia come il ministro dei contadini con i suoi decreti».
«Negli anni trenta – ha detto ancora Leporace – una donna vestita di nero, al mattino attraverso la città vecchia, gridando “Cuddrurrieddri caldi!” Cuddrurrieddru, nostro cibo identitario, come dimostra la Vigilia dell’Immacolata, sui social ogni cosentino, ovunque si trovi nel mondo, posta la ciambella nata lontana nel tempo, a Cosenza, dove la Vigilia di Natale, pur senza sentire le campane, la gloria suona alle 21, senza che nessuno conosca il perché di questa abitudine urbana».
Il racconto di Leporace ha toccato lo storico caffè Renzelli, dove «sedevano ai tavolini lo scrittore Nicola Misasi, giornalista amico di Matilde Serrao, Luigi Fera, guardasigilli di Giolitti, Nicola Serra ma anche sociologo della folla studiato da Tobia Cornacchioni. Faceva la spola dalla sua redazione Luigi Caputo, controllando le bozze della Cronaca di Calabria. C’era anche Antonio Chiappetta, l’autore di Jugale, il Fantozzi rurale di Cosenza e lui, il nonno di Totonno, poliedrico erede di quella filosofia che recita il dialetto un mora mai». Leporace, tra le tante personalità cosentine, ha dando ampio risalto a Sandra Savaglio che «aggiunse le lingue straniere per poter diventare astronoma degna della copertina del Time. Sarà anche assessora di Jole Santelli, primo presidente donna della Regione, che fa paio con Eva Catizone, che invece è stata la prima donna sindaca della città. Ermanna Carcigreco, da assessore regionale alla cultura, riuscì a far restare i Bronzi di Riace in Calabria. Fu consigliere comunale della città a Cosenza Rita Pisano, prima di diventare sindaca di Pedace. Fu mandata dal Pci a parlare dei nostri contadini al Comitato Mondiale della Pace. Era bella Rita, è infatti Picasso, ne fu fulgorato e ne tracciò il ritratto. E poi Maria Lucente, assessore e consigliera comunale della sinistra per 27 anni. E’ donna del novecento cosentina Elena Aiello, detta la monaca santa, mistica elevata a beata da paparazzi. Il novecento è stato il secolo delle donne a Cosenza».
«Il boom a Cosenza – ha spiegato Leporace – non è stata solo la sostituzione di pane e zucchero, pane e olio con le banane Cichita, ma è stata anche un’intelligente formula politica che per la prima volta vede Roma e Milano dialogare con la città e la regione e che manderà il vulcanico professore Antonio Guarasci a ricoprire il ruolo di primo presidente della regione Calabria nel mezzo della guerra del capoluogo. In quel momento Mancini diventa ministro e segretario nazionale del Psi, Riccardo Misasi è una testa pensante della Dc. Il partito comunista dall’opposizione con i suoi uomini cosentini recita un ruolo di primo piano. La città si trasforma, avanza, entra nello spirito dei tempi dei Beatles e del Vietnam. Le lotte dei diritti civili e una nuova politica forgiano il cosentino della modernità nel maggiore avanzamento demografico del secolo».
E’ stata ripercorsa anche la nascita delle periferie di via Popilia, di Serraspiga, di via degli Stadi, far west nell’etimologia popolare, ancora separati dal centro. L’anima popiliana è identità nuova che dovrà aspettare Mancini che ritorna a Palazzo dei Bruzzi per vedere cadere separazioni materiali e immateriali in una città che negli anni 90 finalmente aggredisce l’urbanistica a macchia di leopardo». E poi ancora l’Università «nata su esperimenti che entra nelle vicende nazionali anche per la presenza di docenti che hanno patenti di cattivi maestri». «E’ storia classica – ha affermato Leporace – che arriva a fine secolo, che produce rumorosa Ciroma attraverso la sua radio, che permette a Franco Piperno di essere assessore, mostrando come si guardano le stelle e come si prende il destino nelle proprie mani. Negli anni 90 nasce il centro sociale Granma per la determinazione delle lotte, ma anche per una visione liberale di Peppino Carratelli, penultimo sindaco democristiano della Prima Repubblica, l’ultimo sarà Piero Minuto. Dal Granma si dipana una storia di ribellione e di nuovi eretici circoli, come il Filorosso che ha decenni di storia, che scavalca il secolo breve e arriva al tempo del nuovo impero globalizzato. Per i militanti arrestati, una manifestazione nazionale a Cosenza sarà accolta da tutta la popolazione come mai è accaduto in altra parte d’Italia. La sindaca, il vescovo, il cosentino medio e la casalinga, in larga parte difesi dagli arrestati della procura per antica solidarietà e per un genius loci che coniuga l’appartenenza all’eresia». Nel secolo breve a Cosenza è stato anche un romanzo criminale, «le cosche in guerra, armi in mano, veri protagonisti degli anni di piombo cosentini. Uccisero anche il direttore del carcere, Cosmai. Anestetizzati tutti i Cosentini in un limbo ignorato culturalmente, ma poi lentamente metabolizzato negli anni Ottanta. Il più celebre boss è stato Franco Pino, intelligente, scaltro e pentito. Si dissero pentiti altre decine di gaglioffi e più numerosi in Calabria a dare pessimo pedigree alle loro cose. Alcuni di loro compariranno in aula anche per accusare falsamente di mafia Giacomo Mancini, sospeso da sindaco. Il politico ebbe il sostegno della gran parte dei suoi cittadini. Cosenza del Tribunale, centinaia di processi. Ne richiamo uno, quello della morte della giovane Roberta Lanzino, violata e uccisa da belve e state anonime perché la giustizia è ingiusta in ogni distretto. Sul suo sacrificio e nel nome di quella studentessa i genitori piantarono un seme di speranza. Era accolto da decine di donne quando ancora il femminicidio – ha detto Leporace visibilmente commosso – non si chiamava con quel nome. Erano gli anni Ottanta, decennio nero della città».
Un richiamo importante è stato fatto anche sul Partito Socialista che «aveva la più alta percentuale elettorale d’Italia in città e province». E poi «nuove famiglie si sostituivano alle antiche e nella leadership dei fratelli Gentile un nuovo patto si legava ai centri popolari delle periferie. Un cambio sociologico avveniva. Una città giovanile per consumo di tempo libero, ma anche di paradisi artificiali, si inurbava a Piazza Kennedy popolandosi di nuove tribù. Le tv e le radio private raccontavano la città che dal dopoguerra aveva trovato anche un punto mediatico nodale nella sede regionale della Rai e anche con grandi protagonisti come il maestro Giacoia senior. Non so dire se quel cedo medio cosentino fosse molto riflessivo. Berlusconi trovò accoglienza prima della sua discesa in campo con una laurea “honoris causa” ad Arcavacata, non ripagò tanta generosità accademica. Negli anni novanta l’ospedale civile dell’Annunziata guidato da Franco Petramala, raggiunse gli standard più elevati del secolo per qualità ed efficienza. Un giovane democristiano inizia a fare palestra in circoscrizione, si chiama Roberto Occhiuto. Mario fonda i giovani professionisti, faranno molta strada. In quel tempo nacquero nuovi quotidiani che migliorarono il dibattito pubblico. Diversi cosentini diventarono molto ricchi. Nel 1991 ha rilevato l’economista Cersosimo che il reddito pro capite dei suoi abitanti, cioè a Cosenza, era superiore a quello italiano. Ben 1500 miliardi di lire ai depositi bancari. Però protesti di assegni e cambiali in un lustro sommano centomila casi. Una città cabriolet, una città dell’apparire. Non ci fu neanche tangentopoli a Cosenza e anche questa è anomalia da capire. Abbiamo da capire però anche i poeti del nostro novecento cosentino. Filippo Amantea Mannelli, il futurista Giuseppe Carrieri, anche presidente di questa accademia. Il Pasoliniano Francesco Leonetti, Carlo Ciparrone, Angelo Fasano, Benedetto da Luzzi, e Franco Dionesalvi, ideatore delle “Invasioni”, Raffaele De Luca, il maestro, il metalmeccanico Franco Pasco, Enzo Costabile, umile Peluso, che scoprì il giovane Pasolini».
«Certe notti in sogno – ha concluso Leporace prima di ricevere un lunghissimo applauso – mi ritrovo alla “ficuzza” di Cosenza vecchia. Entro in una crepa e mi sembra di vederli tutti seduti attorno a un tavolo, i poeti, come se fossero alla cantina Bifarelli. Ci sono anche Ernesto D’Ippolito ed Ettore Loizzo che discutono animatamente. Riguarda Stefano Rodotà che volevamo al Quirinale. Alfonso Rendano suona al piano con Giacomantonio. E poi Luigi Gullo e Orlando Mazzotta e il figlio Peppino, il gioviale Mario Paolini, Michele Cozza, il comandante Verberi e il maresciallo Spinelli, l’eroe Calipari, Anna Maria Nucci con il papà Guglielmo e si vedono Stancati, Perugini e Baldo Pisani, Fausto Lio, Tonino Perrelli, Clausi Schettini, tutti insieme a far democristianeria. E poi Bernardino Alimena, Vincenzo Ziccarelli, Benito Falvo, la maestra Iole Pizzuti e la professoressa, Piero Romeo e Mario Gualtieri. Dormono sulla collina come scrive il poeta, ma io li ricordo vivi. E a loro e a tutti i morti e i vivi del secolo breve dedico questo mio dire alla Cosenza della mia vita, una litania infinita, una ricerca mai finita e che ancora prosegue». (redazione@corrierecal.it)
Il Corriere della Calabria è anche su Whatsapp. Basta cliccare qui per iscriverti al canale ed essere sempre aggiornato
x
x