COSENZA Tra un mese si dovrebbe votare il referendum consultivo per unire in unico municipio le tre comunità confinanti di Cosenza, Rende, Castrolibero. Condizionale d’obbligo considerato che il prossimo 6 novembre si discute un ricorso al Tar presentato dal Comitato popolare di Rende che sarà accorpato a quelli giunti da Cosenza e Castrolibero e non si esclude che ne arrivino anche altri.
Al netto delle questioni tecniche e cavillose trovo utile e favorevole che i cittadini dell’area urbana bruzia siano impegnati in una discussione sul proprio destino e sul loro vivere. Da quando Simona Loizzo, deputata della Lega, ha lanciato la proposta ho visto anche le sopite forze cosentine costrette ad analizzare la questione. E’ evidente che chi esercita ruoli guarda al proprio particolare, interesse che a volte si è modificato, ma il referendum consultivo non può essere agitato come una clava antipolitica perché di politica abbiamo bisogno. Io ritengo che scompaginare gli equilibri del voto sia una novità da percorrere e comprendo che ad Orlandino Greco a Castrolibero o a Sandro Principe a Rende non sia conveniente, ma questo fa parte della dialettica. Scomporre il consenso può essere utile.
Nella derelitta sinistra si è visto un avanzamento di posizione. Ritengo positivo che attorno al Pd (finalmente anche qui un lacerto di unità) si sia costituito un tavolo permanente e aperto alle forze politiche progressiste, ai movimenti civici e ai sindacati confederali. Il glossario dice che si vuole “una grande città, coesa, solidale, unita e rispettosa delle identità che la compongono”. Trovo coerente da un punto di vista simbolico che il coordinamento dei comitati sia stato affidato a Giacomo Mancini junior con tutto il portato simbolico che porta il suo illustre cognome. Vanno bene anche i sì con distinguo come quello di Sinistra Italiana che contesta il percorso istituzionale previsto dalla Regione ma non fa mancare proposte utili come quella di lavorare ad un Piano Strutturale Associato per tutti i comuni limotrofi, il consumo di suolo zero e il favore all’Hub sanitario di Arcavacata. Anche “Cosenza cresce insieme” di Bianca Rende ha sempre posto argomentazioni politiche che hanno messo nell’angolo i sostenitori del Comune piccolo e bello.
Si è posto in questa ridotta il collega Filippo Veltri che ha posto in evidenza, a mio avviso, ragioni del cuore, sentimentali, romanticamente posso apprezzare il legame che lo unisce al quartiere natio della Massa, ma mi par di vedere un inutile pennacchio borbonico. Veltri, che è uomo di pensiero, dal punto di vista della ragione poggia sulle questioni urbanistiche e storiche di un competente intellettuale qual è Battista Sangineto, illustrate in un editoriale sul Quotidiano del Sud tutto teso contro la fusione e favorevole invece a 3 città a misura d’uomo. Il bravo archeologo fa il Montanari che sa come dire no.
Io non sono più residente a Cosenza, ma sono profondamente cosentino, perché dove hai visto per la prima volta il sole e la pioggia quelli è il tuo luogo. Io sono nato a Cerisano e cresciuto a via Padolisi. Cosenza Vecchia è il mio paese, proprio nell’accezione di Cesare Pavese. Ho studiato all’università ad Arcavacata di Rende e lavorato e vissuto dieci anni a Castrolibero. Come tutti ho vissuto nell’area urbana e quindi conosco le sensibilità identitarie ma ritengo necessario questo balzo della tigre. Nel mio ragionato sì alla città unica pesa anche il fatto che nel 1993 alla prima elezione diretta del sindaco, io mi sia presentato a primo cittadino con la Ciroma e il programma scritto da Franco Piperno che come slogan proponeva “il potere alla città, la potenza dei cittadini”. Quel programma che poi contaminerà molto il percorso di Giacomo Mancini sindaco è il balzo della tigre necaìessario oggi per sopire quel pessimismo e l’acedia che vive tra i residenti dell’area urbana.
Sta già nel nome la ragione di questa unione. Il toponimo di Cosenza in latino è “Consentia” luogo del consenso e del patto di alleanza delle antiche genti bruzie. Le radici sono importanti e determinano i caratteri di un popolo.
Il referendum è la porta di accesso di un processo più lungo che deve includere anche Montalto Uffugo come aveva sostenuto il primo rettore dell’Unical, Beniamino Andreatta e poi allargarsi a tutti i nostri Casali. Lo storico Luca Addante, anch’egli cosentino della diaspora, da sempre sostiene il ritorno alla configurazione originaria che comprendeva Cosenza e i suoi Casal, quelli adagiati sulla Sila e quelli della catena costiera. Nel Parlamento di piazza Duomo hanno sempre seduto i rappresentanti dei Casali dotati di doppia cittadinanza. Oggi il federalismo municipale va costruito diversamente. Si parta da Cosenza, Rende e Castrolibero e quartieri e contrade agricole siano dotati di municipi che favoriscano la partecipazione. Si eviterebbe la fusione a freddo e potrebbe prendere largo successivamente la contaminazione municipale di tutti i Casali con approvazioni di altri referendum nel tempo.
Aggiungo che è necessario aggiungere fondamenti di principio. Il Rinascimento italiano è nato sulla costruzione della città ideale. Lo comprese bene il filosofo inglese Tommaso Moro che in una sua celebre opera fece nascere l’Utopia, il luogo felice che non esiste. Tendere sempre all’Utopia per vivere meglio è il cammino verso quell’orizzonte che non si raggiunge mai ma che determina i cambiamenti. Sono principi che ispirarono anche il grande calabrese Tommaso Campanella, che da giovane visse a Cosenza nel convento dei Domenicani e dove s’impossessò della filosofia di Telesio per diventare rivoluzionario. Ma anche l’arte si è mossa su questa direttrice, dico all’amico Sangineto. Da Leon Battista Alberti a Vasari il giovane e tanti altri, molti si cimentarono con le città ideali e non nel “meno siamo meglio stiamo” di arboriana memoria. Non sono forse i quadri di Piero Della Francesca un trionfo del mondo ideale. Tra l’altro tutto sovrastato e originato dal pensiero antico di Platone che scrive nella Repubblica, secondo l’esegesi di Armando Torno, “che vi è un modello fissato nei cieli per chiunque voglia vederlo, e avendolo visto conformarsi a esso, ma che esso esista in qualche luogo o abbia mai a esistere è cosa priva di importanza; perché quello è il solo stato della politica di cui possa considerarsi parte”.
Comprendo di essermi spinto, ma penso che nella città dell’Accademia Cosentina e dell’Università della Calabria c’è bisogno di dar lievito al dibattito della città unica. Cosciente, anche, di poter prendere sberleffo di chi ama il pratico come mi suggerisce il ricordo di quel portiere di un condominio di piazza Fera a Cosenza che con una mazzetta di ferro voleva raddrizzare la sua automobile ammaccata parcheggiata nel cortile. Osservato da un condomino di eloquio borghese il portiere si sentì dire: “Signor Ciancio ma riparare l’auto in questo modo mi sembra un’utopia” per ricevere come risposta “Avucà? ma qual’utopia, che chissa è lannia” (Avvocato ma quale utopia che questa è lamiera). Io per la città unica di Cosenza sto dalla parte dell’Utopia e non della lamiera.
Anche Ciro Indolfi, luminare napoletano di Cardiologia, ha accettato l’invito del rettore Leone di trasferirsi alla neonata facoltà di medicina per potersi occupare sul finale della sua gloriosa carriera di Intelligenza Artificiale. Il rettore di Arcavacata sembra il presidente del Real Madrid, Florentino Perez, se è permessa la metafora, a guardare i talenti che sta portando nei cubi di Rende. A Catanzaro, nel leggere certe considerazioni amare di Indolfi nei confronti del locale ateneo, sarebbe necessaria una riflessione approfondita su come vanno le cose in quel di Germaneto. (redazione@corrierecal.it)
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