COSENZA Dal sangue alla pace, il passo è breve. Quando si tratta di danari e business il ricorso ad un approccio “diplomatico” è consigliabile, i proiettili “attirano” l’attenzione delle forze dell’ordine e questo rallenta gli affari, riduce le possibilità di compiere delitti. Non è un caso che nel Cosentino si siano registrati significativi avvicinamenti tra cosche, pacificazioni stipulate dopo aver riempito le strade di sangue e morti ammazzati. E’ successo nella città dei bruzi dopo il delitto di Luca Bruni detto “Bella Bella” e sarebbe accaduto anche nella Sibaritide tra le famiglie Abbruzzese e Forastefano. Una stretta di mano mal digerita da parte di alcuni membri delle rispettive consorterie. Qualcuno ha perso un familiare, qualche altro sta pagando in carcere per quelle scorribande concluse a colpi di pistola. Ma gli affari sono affari.
Nel corso della lunga requisitoria del processo abbreviato “Athena“, il pm Alessandro Riello ha ripercorso gli eventi riferiti e riferibili alla evoluzione della mala della Sibaritide. Nel solco del presunto patto firmato da Abbruzzese e Forastefano, il pubblico ministero ricorda una tentata estorsione che assume rilevanza e valore «sul piano della ricostruzione della geografia criminale della Sibaritide, perché era stata commessa in concorso tra Luigi Abbruzzese e Pasquale Forastefano».
Per Riello, non ci sono dubbi, «abbiamo nei fatti, oltre che nei reati commessi, nelle intercettazioni, nel narrato dei collaboratori, la prova di questa pace siglata sull’altare delle cointeressenze criminali tra la cosca Abbruzzese e la cosca Forastefano». Al termine della requisitoria, il pubblico ministero invoca pene pesanti per quasi tutti gli imputati (qui la notizia).
Luigi Abbruzzese secondo l’accusa sarebbe stato a capo della consorteria degli “Zingari“. In soccorso della tesi ipotizzata, la Distrettuale di Catanzaro richiama le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia: Ernesto Foggetti, Celestino Abbruzzese alias “Micetto”, sua moglie Anna Palmieri. I due si pentono alla fine del 2018 e sono in grado di riferire «quanto accaduto anche durante la latitanza di Luigi Abbruzzese». Sebbene appartenenti alla famiglia dei “Banana” di Cosenza, “Micetto” e la moglie sono cugini dell’omonima famiglia cassanese. La storia criminale del clan è segnato da un episodio che stravolge l’equilibrio imposto: Luigi Abbruzzese viene arrestato dopo essere «stato latitante per tre anni e mezzo». Occorre trovare un successore e «viene individuato Nicola Abbruzzese». Il 23 ottobre 2018, il pm ricorda in aula «un colloquio che forse per la prima volta, dà atto di questa quadra trovata su Nicola Abbruzzese detto “Semiasse”». ma c’è un altro colloquio ritenuto rilevante, datato settembre 2018, con Nicola Abbruzzese «che inizia a versare gli stipendi, quindi un ruolo che si può desumere in modo chiaro (…) è certamente un capo della organizzazione».
Le contestazioni contenute nell’inchiesta prima e nel procedimento “Athena” poi si riferiscono a fatti verificatisi fino alla fine del 2021. Tuttavia, sottolinea il pm Riello in aula, «quello che è accaduto in tempi recenti riesce a offrire degli ulteriori elementi che ci consentono di interpretare l’importanza di un’altra figura inserita nella famiglia Abbruzzese». Il riferimento è a Leonardo Nino “Castellino” Abbruzzese. La menzione dell’accusa non è casuale e non è da ricondurre unicamente allo “status” di latitante del giovane rampollo del clan, ma – per il pubblico ministero – «sottrarsi ad un provvedimento non è un qualcosa che si può improvvisare, si deve godere necessariamente di una rete di fiancheggiatori e ci deve essere l’interesse evidentemente della famiglia di appartenenza, dell’associazione criminale di appartenenza a che una persona si renda latitante». Una circostanza che per l’accusa è sinonimo di autorevolezza, una dote che avrebbe contraddistinto l’agire di “Castellino”, catturato a Bari il 6 novembre 2023. (f.benincasa@corrierecal.it)
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