COSENZA Scegli di stare dalla parte sbagliata, percorri le scorciatoie che conducono ad una vita segnata da sangue e crimine, silenzio e omertà, danari e fughe. La ‘ndrangheta promette potere e arruola con facilità i suoi soldati. Poi un giorno, il sogno di rimanere impuniti dopo aver commesso svariati crimini svanisce quando le forze dell’ordine bussano alla tua porta e ti stringono le manette ai polsi. Inizia tutta un’altra storia, una vita dietro le sbarre passata a rinnegare quella scelta, a pentirsi dei reati commessi. Si passa dalla ‘ndrangheta all’inferno del carcere.
E’ la storia che racconta nel suo ultimo libro “All’inferno e ritorno. Un uomo nella ‘ndrangheta, in carcere e verso una nuova vita”, il giornalista Matteo Zilocchi. Che raccoglie la testimonianza inedita di chi come “Manuel” (nome di fantasia) ha prima lottato – non da affiliato – accanto alla mala calabrese e poi ha scontato 16 anni di reclusione per i propri peccati dopo essere stato arrestato in una delle più importanti operazione contro la ‘ndrangheta al nord.
«Quando nasci in certi posti sei segnato dal destino». Lo ha detto il procuratore di Santa Maria Capua Vetere Pierapolo Bruni, alla guida fino a pochi mesi fa della procura di Paola. Una frase che descrive esattamente la vita di “Manuel”. Zilocchi, al Corriere della Calabria, compie un flashback e torna a quando da giovane «conoscevo Manuel, sapevo chi fosse. Poi ho saputo che era entrato in un brutto giro, ma solo quando lo hanno arrestato ho davvero capito chi fosse e cosa facesse». Era un braccio armato della ‘ndrangheta. «Leggendo un libro durante la pandemia mi è venuta in mente la sua storia, ho cercato informazioni e sono riuscito a contattarlo. Era uscito dal carcere da poco». Il protagonista del libro è cresciuto in uno dei quartieri più difficili di Milano, in periferia e lontano dalla movida di San Babila. Un destino quasi segnato il suo, che parte con i primi reati commessi da giovane. «Viene notato da uomini della mala che lo mettono alla prova, prima affidandogli un business di vendita di automobili e dopo “promuovendolo” a responsabile del traffico di droga».
Arrestato, al termine di un blitz antidroga, Manuel sconta la sua lunga pena in tre diversi carceri, «San Vittore, Opere e Bollate». Nonostante alti e bassi, e la costante paura di cadere in tentazione, l’ex uomo fidato della ‘ndrangheta riesce a venirne fuori. «Ha confessato che a salvarlo è stata la capacità di non affiliarsi». Manuel conosce bene il crimine, come dicevamo prima, ha «cominciato a delinquere prima di entrare in un’organizzazione».
Importante l’aiuto della madre che «l’ha spinto a lavorare, lui lo ha anche fatto con successo ma poi ha ceduto dinanzi alle avances di uomini vicini ad una potente cosca di ‘ndrangheta radicata in Lombardia». Inizia un periodo buio, segnato dai reati e dal malaffare. E poi il carcere. «Non l’aveva mai vissuto, ha scoperto che era ben peggiore di quanto lui potesse immaginare. In una fase iniziale ha continuato a comportarsi da criminale, mantenendo il suo “status” poi il percorso intrapreso all’interno dell’istituto penitenziario gli ha aperto gli occhi. «All’inizio rifiutava il supporto di educatori e psicologi, poi ha chiesto aiuto per disintossicarsi». Manuel, nel libro, avrà modo di confessare a Matteo Zilocchi la propria dipendenza dalla droga «dai 14 anni» e di come gli stupefacenti «abbiano influenzate tutte le sue scelte senza garantire la necessaria lucidità».
Se quello con gli uomini della mala gli è costato parte della propria vita, l’incontro con una psicologa in servizio nel carcere di Opera ha cambiato, in meglio, il suo destino. «E’ riuscita in qualche modo a trovare la chiave per smuoverlo. Il passo successivo è stata la richiesta di essere trasferito a Bollate, e dopo qualche resistenza ha ottenuto il trasferimento. E’ stato un ulteriore step».
Il ritorno alla normalità per chi ha trascorso 16 anni in carcere fa più paura dell’isolamento o dell’assenza di un’ora d’aria. Manuel lascia l’istituto penitenziario e «dopo aver trascorso qualche mese in una comunità di recupero per tossicodipendenti, si è trovato senza lavoro. E’ stato tentato nel tornare a delinquere, ma ha resistito e tenuto duro. Ha trovato lavoro e da quel momento non si è mai voltato indietro». C’è un passaggio fondamentale, sottolineato da Zilocchi. «Durante il processo, alcuni imputati, gli dicono di non mollare e che appena usciti lo avrebbero cercato per riconquistare insieme il mondo. In quel momento Manuel capisce quanto sia povera la vita di quelle persone che attendono di lasciare il carcere non per godere della libertà ma per tornare a commettere reati».
La storia vera raccontata da Zilocchi nel suo libro porta ad una ulteriore riflessione, quella legata alla presenza della ‘ndrangheta in Lombardia. «Vivo a Milano, ogni giorno leggiamo di omicidi, rapine e altri reati. La sicurezza è spesso una questione di percezione. Oggi Milano è considerata una città poco sicura per via della micro criminalità, ma la gente non è affatto preoccupata della ‘ndrangheta», confessa l’autore. «Tutti sembrano rimasti fermi all’immagine della mafia legata a Cosa nostra, alle stragi, ai morti ammazzati per strada. Oggi i mafiosi indossano giacca e cravatta e sono tornati ad operare come facevano una volta, nell’ombra e lontani dai riflettori». Infine, Matteo Zilocchi ci tiene a sottolineare un altro passaggio del libro. «Racconto anche il carcere, spesso degli istituti di pena parliamo sottolineando giustamente il numero dei sucidi o i problema del sovraffollamento, ma il carcere sa anche svolgere la sua funzione, ovviamente è necessaria l’intenzione del detenuto». Manuel dice che «il carcere ti dà la cassetta degli attrezzi, ma non ti dice come utilizzarli, devi essere tu che ad avere la forza e la volontà di utilizzarli». (f.benincasa@corrierecal.it)
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