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Omicidio Lorena Quaranta, il padre: «Mi affido alla Corte di Reggio Calabria»

La Procura generale di Reggio Calabria ha chiesto 24 anni di carcere. La sentenza è attesa per il 28 novembre

Pubblicato il: 03/11/2024 – 10:01
Omicidio Lorena Quaranta, il padre: «Mi affido alla Corte di Reggio Calabria»

«Già da piccola era la colonna della casa e aveva il suo obiettivo che era la medicina. Mi affido alla Corte di Reggio Calabria, ai giudici popolari, alla presidente che è una donna, mi affido a loro per avere giustizia, per mia figlia e per tutte le donne». A parlare è Vincenzo Quaranta, papà della ventisettenne Lorena brutalmente assassinata dal suo fidanzato Antonio De Pace, il 21 marzo 2020 a Furci Siculo, nel messinese nella loro casa. Intervistato da Maria Grazia Mazzola per TV7, speciale del Tg1, il papà ripercorre la vicenda giudiziaria che ha portato la Cassazione, dopo 4 anni e mezzo dal femminicidio, a chiedere un nuovo processo per l’infermiere assassino, condannato in primo grado dalla Corte d’Assise d’Appello di Messina all’ergastolo, al fine di considerare tra le attenuanti ‘lo stress da covid’. La Procura generale di Reggio Calabria ha quindi chiesto 24 anni di carcere. La sentenza è attesa per il 28 novembre. «Non era né malato mentale, né c’era alcuno stress. La sera lui usciva: ci sono tutti i WhatsApp, andava a giocare con la Play. La pena è che deve uscire e rifarsi la vita? E la vita che ha tolto? – incalza papà Quaranta- la giustizia deve dare una risposta. Voi donne lottate, ma la giustizia si deve fare». Lorena e il suo fidanzato convivevano, gli ultimi messaggi trovati sul cellulare della giovane denunciano comportamenti violenti: i pugni al vetro della macchina, «il senso di inferiorità che lui sentiva, come ricostruisce il padre di Lorena, per essere infermiere e non medico. Lei lo incoraggiava in tutto – ricorda – ha fatto tutto per lui». La tesi di Lorena “era già pronta” e anche lei come la povera Giulia Cecchettin la laurea la conseguirà da morta. Un parallelismo tra le due storie: uomini che coltivano rancore, che non si sentono all’altezza: «Perché spesso non accettano che le donne abbiano una posizione più avanzata e questo può appartenere a ogni categoria sociale», denuncia il Procuratore della Repubblica di Tivoli, Francesco Menditto, intervistato da Mazzola.

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